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Con le app non c’è da scherzare. Utili, innovative, pratiche ma molto spesso insidiose. Il mercato comunque c’è e cresce a dismisura. Lo dicono i numeri: lo scorso anno nel mondo sono stati ben 175 miliardi i download di app, per una spesa complessiva da parte dei possessori di smartphone – Apple o Android non fa differenza, pari a 86 miliardi di dollari.

E anche in Europa la app economy sta facendo segnare una crescita esponenziale e costante. Oltre sei i miliardi di euro ricavati dalla sola vendita di applicazioni con numerose ripercussioni dirette per l’Italia, inserita nell’elenco dei Paesi con maggior numero di sviluppatori di applicazioni al mondo. Ciononostante sono ancora numerose le difficoltà, sia sotto il profilo infrastrutturale sia regolatorio, che si incontrano sul mercato unico digitale, soprattutto con riguardo alle cosiddette operazioni cross-border.

La Commissione Europea ha d’altronde la responsabilità di tracciare il solco in cui si muoveranno le prossime linee direttrici delle politiche europee in questo settore e delle sostanziali differenze tra sistemi open source e sistemi chiusi, i quali, a differenza dei primi, sono potenzialmente in grado di impedire o falsare la libera concorrenza.

Di tutto questo si è parlato questo pomeriggio nel corso di un convegno L’app economy in Europa tra concorrenza e innovazione, organizzato dalla Iaic (Italian accademy of the internet code), presso uno studio legale ai Parioli. Tra i presenti, oltre al presidente Iaic, Alberto Gambino, numerosi esperti di telecomunicazioni, tra cui Augusto Preta e il presidente dell’Unione dei consumatori, Massimiliano Dona. Anche la politca, cui spetta la regolazione dell’app economy, era presente per mezzo della deputata pentastellata Maria Laura Paxia (commissione Affari esteri) e di Mattia Mor, deputato dem membro della commissione Attività produttive.

Il punto di partenza è questo. Le app hanno modificato il nostro stile di vita, fin  dal pronfondo delle abitudini quotidiane. D’altronde, come ha ricordato lo stesso presidente Gambino, “sono trascorsi esattamente dieci anni da quando sono state lanciate piattaforme come Apple App Store e Google Play che hanno radicalmente trasformato la vita quotidiana di ogni individuo che possiede un dispositivo mobile. Ogni personal device (smartphone o tablet) ha installate sul proprio smartphone mediamente tra le novanta e le cento applicazioni e queste vengono usate quasi due ore al giorno, ogni giorno. Naturale che un mercato di tali dimensioni necessiti di regole ben precise”.

Maria Laura Paxia è proprio su questo punto che ha voluto incardinare il suo ragionamento. “Dobbiamo convincerci che oggi abbiamo bisogno di un bilanciamento tra quello che sono le esigenze dell’innovazione e quelle degli utenti, queste ultime soprattutto in un’ottica di privacy (oggi sono numerosi i casi di app che rubano dati personali senza offrire servizi, ndr). D’altronde dobbiamo cominciare adesso a dettare delle regole precise perché da qui a qualche anno forse staremo già parlando di intelligenza artificiale. Questa è oggi la grande sfida, bilanciare innovazione e aspetti sociali”.

Aspetti sociali tra i quali rientra l’occupazione. “L’app economy dà lavoro a circa un milione di persone in Ue. Pensiamo ai riders in Italia che forse ne sono l’esempio più lampante”, ha aggiunto. Diverso il punto di vista di Mattia Mor, che ha posto l’accento sull’arretratezza dell’Italia in materia di innovazione. “Oggi chi investe di più sono Cina e Stati Uniti, l’Europa ancora una volta si è fatta trovare divisa e impreparata dinnanzi al fenomeno della app economy. Ancor più l’Italia. Solo un’Europa coesa e unita, con una politica tecnologica comune può immaginare di poter sfruttare al meglio l’innovazione, senza rimanere a eterno ricasco di altre economie”.

 

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