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Qualche giorno fa (esattamente il 10 ottobre) il presidente della Corte dei conti russa, Alexei Kudrin, ha esposto le sue preoccupazioni a proposito delle sanzioni occidentali a cui Mosca è sottoposta davanti a una platea elitaria di uomini di affari del Paese. Secondo l’ex ministro delle Finanze, se le sanzioni dovessero essere rafforzate, la Russia non sarebbe in grado di raggiungere gli obiettivi di crescita previsti per il futuro. Ossia, i target stabiliti dal nuovo mandato presidenziale di Vladimir Putin sarebbero un miraggio – e sulla crescita economica, in uscita dal pantano attuale, Putin ha piantato le radici del suo quarto round da presidente.

Secondo Kudrin, la politica estera russa “dovrebbe essere subordinata alla riduzione delle tensioni nelle nostre relazioni con altri Paesi”. E c’è un solo modo per capire se il Cremlino sta facendo bene il suo lavoro, spiega, l’allentamento delle sanzioni – all’opposto, il rafforzamento indica che qualcosa non va a Mosca.

Kudrin è un elemento sui generis nel sistema politico russo, fa notare Nigel Gould Davis, della Catham House (think tank inglese tra quelli in cui il pensiero e le policy occidentali prendono vita e forma). Ha ricoperto il ruolo di ministro dal 2000 al 2011, e ha un rapporto straordinario con il presidente Putin. I due si conoscono dai tempi di San Pietroburgo, quando negli anni Novanta facevano parte dell’amministrazione cittadina, e ancora oggi Kudrin è considerato il superconsigliere di Putin a cui è stato dato in mano discretamente l’ambizioso progetto della nuova riforma statale. L’ex ministro è l’unico, nel sistema accentrato putiniano, a far parte del giro intimo del potere e ad aver allo stesso tempo diritto di critica (è questo il ruolo particolare, una cosa non del tutto scontata in Russia, dove chi è contro Putin e la sua impalcatura statale rischia di dover fuggire in esilio, o sorte peggiore).

Dunque quel che dice Kudrin è importante per diverse ragioni. Innanzitutto il suo ruolo nell’impero è di primo piano, e il fatto che in questo momento venga lasciato libero di esprimersi su una faccenda così delicata può voler dire che anche Putin è consapevole che il calo di consensi che sta subendo è indice di una diminuzione della presa: e quindi val la pena far esprimere pubblicamente anche un livello controllabile di consenso.

D’altronde, è tutto espressione di umori non nuovi, che escono più o meno apertamente anche da altri alti ranghi. Per esempio, a maggio Elvira Nabiullina, governatrice della banca centrale, aveva già dichiarato alla Cnbc che, stante le attuali condizioni, l’economia russa non crescerà più della media globale, nonostante Putin abbia stabilito un tasso di crescita più elevato come obiettivo del suo mandato presidenziale. In agosto Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza, e pezzo di pregio dei silovik (i funzionari della sicurezza con incarichi politici di cui si compone il potere attorno a Putin, di cui Patrushev è molto intimo), ha riferito ai funzionari regionali che le sanzioni stanno creando “gravi problemi” nel settore cruciale del petrolio e del gas.

I commenti di Kudrin contraddicono palesemente la linea che il Cremlino diffonde a livello globale grazie anche alla sua propaganda forsennata. Una posizione che suona così: le sanzioni non sono efficaci, non intaccano l’economia russa, anzi sono un boomerang che colpisce i Paesi che le stanno applicando. Le analisi di think tank, società private, banche centrali, camere di commercio, e entità varie europee e americane da tempo contraddicono questa linea, sostenendo che se da un lato Mosca sta subendo internamente l’effetto delle sanzioni, dall’altro le misure occidentali non hanno quasi per niente intaccato la gran parte delle relazioni commerciali con Mosca – che semmai sono state alterate dalle contromisure russe, creando in quel caso un boomerang perché la limitazione all’importazione di certi prodotti ne ha fatto lievitare il prezzo in Russia.

Quello che il capo della Corte dei conti ha detto è interessante perché è una dichiarazione pubblica sul fatto che i cattivi rapporti della Russia con Stati Uniti ed Europa, legati alle politiche volute da Putin (le sanzioni sono conseguenza dell’annessione della Crimea, del conflitto in Ucraina, delle interferenze nelle presidenziali americane e del caso Skripal), stanno avendo effetti diretti sul raggiungimento, potenzialmente fallito, di alcuni obiettivi di politica interna.

In più, quello di cui parla l’ex ministro, ossia il rafforzamento delle sanzioni, è un processo ormai quasi inevitabile, perché dal mese prossimo gli Stati Uniti alzeranno contro la Russia una nuova serie di misure restrittive. È la seconda tranche delle azioni punitive connesse innanzitutto al tentato assassinio, su suolo inglese e con un agente nervino, dell’ex spia Sergei Skripal, e poi alle interferenze durante le presidenziali, il ruolo in Ucraina e Siria; dovranno servire da messaggio duro sui futuri avventurismi putiniani.

Infine, conta molto la platea che stava ascoltando le parole di Kudrin. L’Unione russa degli industriali e degli imprenditori viene soprannominata “il club degli oligarchi”, perché è composta dai più importanti businessman della Russia, tutti iperpotenti e iperconnessi con il potere putiniano. Si tratta di elementi che subiscono l’effetto delle sanzioni molto più della popolazione comune, e per questo sono molto più sensibili alla questione. Molti di loro sono nelle liste nere del Tesoro americano, pronti per essere colpiti; altri hanno già subito gli effetti personalmente. Per esempio, a maggio il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, aveva detto apertamente che per salvare il gigante dell’alluminio Rusal dalle sanzioni americane, l’oligarca Oleg Deripaska avrebbe dovuto fare un passo indietro dal suo ruolo di vertice della società: e così è andata.

 

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