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Sarà una coincidenza. Ma il titolo dell’ultimo libro del direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, “Un Paese senza Leader” (Longanesi), spiega alla perfezione la fase di stallo in cui il Paese si è ritrovato all’indomani del 4 marzo. Dopo due mesi di tiro alla fune fra i partiti finalmente si è profilata una via di uscita: un governo Lega-Cinque Stelle, le due forze anti-establishment che hanno fatto l’en plein alle urne. Una responsabilità enorme, che però continua a fare i conti con i veti incrociati, gli slogan, e un continuo gioco del cerino. Sullo sfondo c’è il Presidente Sergio Mattarella, che non può e non vuole assistere inerme e ricorda da Dogliani che la Costituzione gli affida il ruolo di arbiter, non di spectator. Intervistato da Formiche.net Fontana prende atto che c’è un solo modo per mettere i politici davanti alle loro responsabilità: un governo pienamente politico, che tolga a tutti l’alibi di puntare il dito contro i tecnici e l’Europa.

A Dogliani Mattarella, ricordando Einaudi, ha rivendicato l’autonomia nelle scelte che la Costituzione affida al capo dello Stato. Qualcuno ha letto il suo discorso come un’entrata a gamba tesa nelle trattative politiche in corso. È così?

Per la verità io l’ho letto come un richiamo alla giusta procedura istituzionale di formazione di un governo. Il Presidente della Repubblica è garante del rispetto della Costituzione. I partiti possono andare dal Presidente indicando la possibilità che un governo si formi e abbia i numeri in parlamento e proponendo una persona per l’incarico di presidente del Consiglio. Toccherà poi al premier incaricato fare le consultazioni e indicare al Capo dello Stato una lista di ministri, che dovrà poi controfirmare valutando il profilo istituzionale e il programma rispetto agli impegni internazionali.

Non si è trattato, dunque, di un passo eccessivo.

Tutt’altro. Quella di Mattarella non è un’ingerenza. Esattamente come i suoi predecessori al Quirinale, anche lui non può rimanere semplice spettatore. È comprensibile che richiami al rispetto degli impegni presi, specialmente rispetto ai profili di bilancio. La parità di bilancio è stata inserita nella nostra Costituzione nel 2012, non può essere ignorata.

È auspicabile che il governo Lega-M5S sia davvero un governo politico?

Più questo governo ha un profilo politico meglio è. Sono convinto che se si chiudesse la stagione dei governi tecnici e figli di nessuno il Paese ne trarrebbe vantaggio. È bene che chi è stato votato si assuma le sue responsabilità. Se questo non è possibile è meglio fare un governo molto breve che metta in sicurezza i conti pubblici e riformi la legge elettorale. Così alla prossima partita chi viene scelto dai cittadini avrà la possibilità di governare, perché ora questa responsabilità non è stata affidata a nessuno direttamente.

Se Mattarella non si limitasse ai veti ma scegliesse direttamente i ministri non ci sarebbe il rischio che un governo politico si trasformi in un governo “neutro”?

Non sappiamo che tipo di governo sta nascendo. I nomi che circolano come possibili presidenti del Consiglio sembrano configurare l’incapacità di fare un accordo politico pieno. Circola addirittura il nome del segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, che era nella una delle scelte che stava valutando Mattarella per un “governo del Presidente”. È una situazione molto fluida, frutto di un sistema elettorale che non ci ha consegnato una maggioranza assoluta in parlamento. Spero che sul programma si riesca a trovare un compromesso nobile, tenendo a mente che l’Italia non vive isolata nel mondo, partecipa all’Unione Europea e ai suoi diritti, ma anche alle sue leggi e ai suoi vincoli.

A proposito di vincoli, l’unico punto su cui sappiamo che Salvini e Di Maio sono d’accordo è “rinegoziare i Trattati europei”. Ma cosa vuol dire in pratica?

Mi sembra un modo per buttare la palla in là e mettere le mani avanti rispetto all’impossibilità di varare provvedimenti molto costosi. Insomma, mi pare che Salvini e Di Maio stiano chiedendo di poter fare deficit per finanziare provvedimenti che complessivamente, così come sono stati configurati, costano quasi 100 miliardi. Revisionare i Trattati europei è una procedura lunghissima che non troverà l’accordo di quasi nessuno. Parlarne oggi crea le condizioni per dire domani “è colpa dell’Europa” se non si riuscissero a mantenere le promesse elettorali.

Entrare un domani nella famiglia europea del Ppe può essere una mossa vincente per la Lega di Salvini?

Non credo che Salvini sia pronto a fare questo passo. È vero, i popolari europei hanno all’interno una componente, quella di Viktor Orban, molto vicina alle istanze della Lega. Certamente una volta al governo Salvini dovrà riflettere sull’opportunità di combattere le sue battaglie italiane in un alveo politico minoritario, ma al momento non è un tema al’ordine del giorno.

Sul programma economico c’è meno sintonia. Lega e Cinque Stelle sembrano divisi da una visione industriale diversa, se non opposta del Paese. Il caso Ilva ne è la prova tangibile..

L’Ilva in effetti può essere la pietra della discordia. La cultura industriale dei due partiti è molto diversa, comporla non sarà semplice. I pentastellati appartengono a un mondo dove convivono diritti sindacali, questioni ecologiche, opposizioni alle infrastrutture. Hanno osteggiato quasi tutto, dalle olimpiadi alla Tav fino alla Tap in Puglia, c’è stata un’opposizione costante di tutto il programma di sviluppo delle grandi opere. Quanto all’Ilva, i Cinque Stelle sono molto più sensibili alle battaglie ambientalistiche che chiedono un ridimensionamento drastico di quel complesso industriale.

Resta il nodo di conciliare flat tax e reddito di cittadinanza. Adesso si parla di una flat tax con due aliquote: più progressiva e molto meno flat..

Non trovo strano che in un programma comune la flat tax venga revisionata. Questa imposta ha alcune controindicazioni perché sfavorirebbe i redditi bassi della stragrande parte dei cittadini, è ragionevole trovare un compromesso.

C’è poi un’altra tegola caduta sulle trattative in corso: la riabilitazione giudiziaria di Silvio Berlusconi, anticipata da uno scoop del Corriere. Adesso cosa cambia?

Dal punto di vista del profilo politico Berlusconi è già tornato pienamente in campo. Però la chiusura della parentesi dell’interdizione in una fase politica così complicata, dopo aver assistito a una sconfitta alle elezioni e alla perdita della sua leadership nel centrodestra, dà a Berlusconi la determinazione di giocarsi la partita con più decisione. E di colpo getta una luce diversa sulla prospettiva di un ritorno alle urne.

Non sarebbe un autogol clamoroso per Berlusconi tornare al voto? Dopotutto anche il 4 marzo gli elettori hanno trovato il suo nome sulla scheda, eppure..

È vero, era già in campo. Ma lui è sicuro che la sua sconfitta elettorale debba attribuirsi alla sua esclusione dal parlamento, che gli avrebbe impedito di essere davvero in corsa. Mi sembra un’illusione, ma pesa molto psicologicamente su Berlusconi e può spingerlo ad assumere posizioni più nette con Salvini.

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