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Oggi a Istanbul si svolge una riunione speciale per cercare di costruire un altrettanto straordinario summit per parlare di Siria, la cui eccezionalità e urgenza è dovuta alla situazione a Idlib, e a quel che significa l’operazione del regime sull’ultima roccaforte ribelle per il futuro della guerra, del paese, della regione, e – come la storia della vicenda siriana ci insegna – del mondo.

La Turchia ha ospitato i rappresentati diplomatici (non gli ambasciatori, ma messi speciali inviati dai rispetti governi) di Turchia, Russia, Francia e Germania con l’obiettivo di organizzare un vertice di massimo livello tra Recep Tayyip Erdogan, Vladimir Putin, Emmanuel Macron e Angela Merkel. L’interesse di Ankara è evidente: il governo turco, immerso in una serie di problemi di carattere economico (e socio-politico) vuol cercare di salvare il salvabile sul fronte siriano.

Innanzitutto, i turchi non vogliono rimetterci la faccia davanti ai propri cittadini – l’investimento, anche in termini politici, a sostegno della rivolta anti-assadista è stato importante e veder cadere Idlib per mano di coloro che si dicono partner di Ankara (Mosca e Teheran, alleati del regime siriano) nel processo negoziale alternativo all’Onu, quello riunito dai russi periodicamente ad Astana, darebbe un’immagine pessima ai propri cittadini che già tribolano per altre problematiche. In più c’è la ragione più contingente legata al rischio dell’innescarsi di una crisi migratoria: dopo Idlib, i miliziani e i civili siriani che vi si sono rifugiati nel corso del tempo (oltre due milioni), non hanno altre occasioni di riparo se non attraversare il confine turco, ma un paese di 80 milioni di abitanti che ospita già 3 milioni di sfollati dal conflitto siriano, può resistere a nuove, corpose ondate?

Alla riunione – dal carattere operativo/organizzativo per la definizione del prossimo highest level meeting – presente Ibrahim Kalin, per la Turchia (consigliere Esteri di Erdogan), e poi il francese Philippe Etienne (consigliere diplomatico dell’Eliseo), Yuri Ushakov (ex ambasciatore russo negli Stati Uniti, diplomatico di lungo corso, assistente del primo ministro e dal 2012 responsabile degli Affari esteri del Cremlino), e infine il tedesco Jan Hecker (consigliere della Cancelleria e progettista della politica tedesca sui rifugiati del 2015).

E l’Italia? Roma non partecipa attivamente alle discussioni sulla Siria, e per questo con ogni probabilità non è stata invitata? Negli anni i governi italiani hanno intavolato con Damasco rapporti intelligence-to-intelligence, contemporaneamente all’inclusione nel gruppo degli “undici Paesi amici della Siria” che sostenevano le opposizioni in esilio. Un classico atteggiamento di mezzo, con cui Roma ha seguito le posizioni americane, più pro-rivoluzione, senza stoppare i contatti con gli uomini del regime.

Ma il ruolo di Francia e Germania pare più attivo: Merkel ha più volte tenuto incontri diretti con Putin per parlare della crisi, e poi il suo governo precedente s’è reso protagonista dell’importante politica sui migranti (molti siriani) guidata da Hecker. Macron s’intesta invece il ruolo di attore onnipresente su molti dei dossier esteri internazionali, soprattutto quelli che riguardano il Mediterraneo, e visto lo sbocco costiero, quello che succede in Siria riguarda certamente il bacino marino dell’Europa (per esempio, in questi giorni la presenza di navi russe davanti alle coste siriane è fonte di preoccupazione di Usa e Nato).

Per le stesse ragioni (l’importanza strategica del Mediterraneo orientale su cui si affaccia la Siria), come minimo, il dossier dovrebbe interessare l’Italia, ma Roma è alla finestra, sebbene in passato, prima della guerra, sia stato per la Siria il primo partner commerciale.

La formazione che oggi dialoga in Turchia è piuttosto interessante anche sotto un’altra ottica. Qualche giorno fa, il consigliere alla Sicurezza nazionale del presidente americano Donald Trump, John Bolton (che avrebbe potuto prendere parte con i colleghi alla riunione odierna, se solo Erdogan non fosse in una fase di rapporti non rosei con gli americani), ha detto che gli Stati Uniti sono già d’accordo – anche in termini operativi, da quel che si è capito – con il Regno Unito e con la Francia per colpire il governo siriano se agli assadisti dovesse slittare la frizione e agire su Idlib in modo violento e indiscriminato.

In quello stesso giorno (lunedì) il quotidiano tedesco Bild ha scritto che anche il ministero della Difesa di Berlino starebbe lavorando per coordinarsi con Usa, Regno Unito e Francia su eventuali rappresaglie contro Bashar el Assad se dovesse utilizzare di nuovo le armi chimiche. Non c’è niente di ufficiale dalla Germania, ma è più o meno pubblico che il partito della cancelliera Merkel è sostanzialmente d’accordo sull’unirsi al gruppo.

E dunque, tedeschi e francesi, oggi si sono seduti davanti ai russi sostenitori del regime partendo da questa posizione anticipata: e la Turchia è tornata ad avere interessi più vicini agli europei, perché Ankara vuole evitare il bagno di sangue a Idlib. Ma ai russi, gestori della situazione generale in Siria, la presenza degli europei non dispiace.

Resta che anche su questo aspetto della situazione, l’Italia non è prevenuta; assenza che arriva in un momento delicato, dove si inizia a parlare del futuro siriano, della ricostruzione, e degli equilibri regionali collegati. Il governo Conte non ha posizioni nette, è disimpegnato e probabilmente non disposto a seguire Stati Uniti e alleati europei in eventuali operazioni contro Assad, mentre pare che stia cercando canali (anche via Libano) per avere un ruolo sulla fase ricostruttiva del paese – sulla situazione val la pena ricordare che i due partiti che compongono l’attuale formazione di governo, in passato, hanno spesso preso cantonate credendo alle peggiori campagne di disinformazione uscite dalla Siria, che come con molte delle dinamiche attuali ha dato lo spunto anche a questa diffusione intensiva di fake news.

 

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