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Rilanciare l’Unione europea e rafforzare la moneta unica. Il presidente francese ne aveva fatto un cavallo di battaglia della sua campagna elettorale, ma per tenere fede alle sue promesse avrebbe dovuto attendere l’esito delle elezioni in Germania. Dopo un inconsueto stand-by di sei mesi, Berlino ha raggiunto l’accordo per la formazione di una nuova grosse koalition e la macchina delle riforme può dunque rimettersi in moto. Anche perché il tempo non abbonda. Nel 2019 ci saranno infatti le elezioni europee e il ricambio dei vertici delle sue istituzioni. Per non parlare della chiusura del negoziato su Brexit. È chiaro tanto alla Merkel quanto a Macron che posticipare farebbe solo il gioco degli euroscettici che attaccano il cronico immobilismo di Bruxelles e dei leader europei che lì si incontrano solo per operazioni di grosse koalition.

È quindi il 2018 l’anno in cui mettere sul piatto le proposte di riforma, vere e non solo “cosmetiche”. Riguardo all’euro, a tenere banco sono le proposte di Macron, dalla creazione di un bilancio per l’ eurozona alla figura del ministro delle Finanze. Proposte su cui molti, anche a Berlino, si dicono d’accordo, quanto meno finché non vengono fatte alcune domande che ne testano la vera portata riformatrice: di quanti soldi potrà disporre questo bilancio? Chi ci metterà i soldi? Per cosa verranno utilizzati? Quanto il ministro delle Finanze avrà voce in capitolo nell’utilizzarli? Quali i margini di manovra dei leader nazionali? Rispetto a queste domande, le risposte sono appena abbozzate, ma non mancano alcune significative aperture. Ad esempio, i tedeschi non escludono che una parte del nuovo bilancio venga utilizzata per finalità sociali.

Non è un cambiamento di poco se si considera che questo vorrebbe anche dire più soldi dalla ricca Germania verso il sud dell’ eurozona. Certo non è un impegno che i tedeschi sono disposti a prendere a cuor leggero o senza ottenere qualcosa in cambio. Già da tempo, infatti, Berlino ribadisce che accanto a una maggiore condivisione dei rischi è necessaria anche una maggiore disciplina. E se i Paesi membri non sono in grado di farla rispettare, bisognerà fare in modo che siano i mercati a farlo, punendo gli indisciplinati attraverso una impennata degli interessi sul loro debito.

In questa direzione vanno alcune recenti proposte franco-tedesche avanzate da economisti come Jean Pisani-Ferry, responsabile del programma elettorale di Macron, e Isabel Schnabel del consiglio di esperti che supporta il governo tedesco. Queste includono la creazione di una garanzia comune per i depositi bancari, ma solo a patto che le banche si impegnino ad acquistare meno titoli del debito pubblico del proprio Stato. Viene anche proposto il superamento del fatidico vincolo del 3% del rapporto deficit/Pil, ma ancorando comunque la crescita della spesa pubblica a quella del Pil.

Quindi si può spendere di più quando si cresce più in fretta, ma se si spende troppo (o per spesa improduttiva) ci si finanzia con junior bond, cioè con titoli pubblici meno attraenti per i mercati e quindi più onerosi per i governi. Il tutto collegato peraltro all’introduzione di rigorose regole comuni da seguire nel caso in cui un Paese non fosse in grado di ripagare il proprio debito. A queste proposte si aggiungono quelle di un bilancio dell’ eurozona anche per finalità sociali, come la lotta alla disoccupazione. Insomma, qualcosa finalmente si muove sul piano delle riforme. Per l’Italia alcune di queste proposte potrebbero risultare rischiose e troppo onerose, ma sarebbe un grave errore rigettarle in toto, insistendo solo su quelle che ci convengono.

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