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Gli scienziati e i ricercatori italiani all’estero rappresentano solo “cervelli in fuga” da far rientrare o costituiscono un patrimonio anche diplomatico per il nostro Paese? Se la retorica politica guarda al primo aspetto, c’è chi nelle istituzioni ha compreso che questa vasta rete di professionalità italiane nel mondo può essere un tesoro, tutto da valorizzare. Una prova di consapevolezza attiva viene dalla Farnesina, che ha voluto attivare il network degli addetti scientifici per farne sempre di più uno dei principali strumenti di promozione del nostro Paese nel settore della scienza. Formiche.net ha voluto ascoltare Vincenzo De Luca, il direttore generale per la promozione del Sistema Paese presso il ministero degli Esteri.

Quali sono i punti di forza, ad oggi, della diplomazia scientifica italiana e in che modo questa si fa promotrice del Sistema Paese?
Intanto dobbiamo fare una premessa: in questi ultimi anni noi stiamo cercando di promuovere l’Italia all’estero in maniera molto innovativa: uno schema di promozione integrata. Perché non c’è dubbio che la percezione dell’Italia all’estero è molto legata alla nostra grande tradizione culturale, all’arte, alla bellezza naturale e alle tre F (Fashion, Food and Furniture). Noi però siamo anche un paese di grandissima innovazione tecnologica e scientifica. E la nostra capacità in termini di innovazione, di scienza e tecnologia non è sempre percepita nel mondo
Ora, per esempio, mi trovo qui a Singapore, per una importante visita del ministro Alfano e oggi abbiamo discusso di come promuovere una più forte partnership tecnologica con l’Italia.

A questo proposito, sono stati stanziati dei fondi che, in questo momento, rendono possibile questa e altre attività di promozione?
Attraverso uno schema di promozione integrata che stiamo diffondendo all’estero, abbiamo ottenuto una allocazione significativa per i prossimi anni, dal 2017 al 2020, di 150 milioni di euro aggiuntivi proprio per promuovere al meglio l’Italia all’estero. Sono 29 gli addetti scientifici, di cui tre addetti spaziali, in 23 paesi in giro per il mondo. L’Italia nella ricerca e nell’industria dello spazio è molto avanzata, com’è noto. È da questa premessa che è nata l’idea di rendere permanente la conferenza degli addetti scientifici e di renderla una piattaforma per il sistema della ricerca e dell’innovazione italiana. Possiamo dire, infatti, che gli addetti scientifici insieme con la rete diplomatica rappresentano un po’ l’intelaiatura per sviluppare ulteriormente i rapporti tecnologici e anche economici in giro per il mondo.

Guardando all’esperienza di realtà come Issnaf (Italian Scientists and scholars of North America foundation), quale pensa che possa essere il ruolo dei giovani ricercatori all’estero?
Questo è un altro aspetto che abbiamo voluto sottolineare nella terza edizione della conferenza degli addetti scientifici che abbiamo appena tenuto in Farnesina. Dobbiamo creare sempre di più delle reti italiane nel mondo, perché noi abbiamo un patrimonio all’estero e non dobbiamo mai dimenticarcene. Questo patrimonio sono i nostri ricercatori, che sono oltre diecimila in giro per il mondo e che ora stiamo mettendo in rete. Stiamo costituendo una banca dati per collegare i ricercatori che sono all’estero con i ricercatori che sono in Italia e non solo. Quindi collegare i ricercatori all’estero anche con il nostro sistema delle imprese e in particolare delle piccole e medie imprese. Perché il rapporto ricerca, impresa, innovazione e tecnologia è fondamentale non solo ai fini del successo della ricerca ma anche per la competitività del nostro sistema produttivo.

Abbiamo visto che il premio Farnesina ha evidenziato due realtà promettenti: il settore spazio e quello della ricerca in ambito scientifico-medico. Quali sono, secondo lei, i settori della ricerca in cui attualmente l’Italia si pone come stakeholder, come leader all’estero?
Il ruolo della diplomazia scientifica è anche quello di presentare un volto più innovativo e più efficace dell’Italia nel mondo. Abbiamo delle aree di innovazione e di ricerca che sono all’avanguardia nel mondo. Penso a Human Technopole e a all’intera area delle scienze della vita. in Lombardia. Penso a tutta l’area dei Big Data in Emilia Romagna dove adesso ospiteremo anche il centro meteorologico europeo. Penso anche all’area dell’industria aerospaziale e difesa che a Roma trova grandi soggetti industriali Penso a tutta la filiale dell’industria alimentare e della sicurezza alimentare che in Campania, come in Emilia Romagna, come in altre realtà, trova delle punte di eccellenza. Ecco questo è un po’ il senso di utilizzare la rete degli addetti scientifici al servizio di una proiezione dell’Italia nell’innovazione e dell’Italia nella tecnologia. Tra l’altro il settore farmaceutico, dove il ruolo della ricerca è fondamentale, è quello che ha fatto registrare il più alto aumento dell’export italiano negli ultimi anni rispetto ad altri settori. Poi c’è un grande programma che è stato proposto dal ministro Calenda e da questo governo che è l’industria 4.0 che prevede l’incrocio tra digitale e manifattura nel quale hanno un ruolo importante anche la ricerca e i centri tecnologici.

Il ministro Alfano ha parlato della diplomazia scientifica come “un canale del tutto originale per far parlare i paesi”. Pensa possa effettivamente contribuire al dialogo tra i paesi e quindi all’appianamento delle divergenze per uno scopo comune?
Assolutamente. Nella ricerca scientifica il rapporto tra i ricercatori continua va al di là di quelle che sono le contingenze politiche. L’esempio citato dal ministro del laboratorio “Sesame” in Giordania dove operano insieme, ed è difficile farlo in altri campi, ricercatori israeliani, palestinesi e iraniani è un caso emblematico di che cosa può significare la frontiera dell’innovazione e della ricerca per contenere tensioni che naturalmente esistono per ragioni diverse. Ma questo vale anche per i rapporti che abbiamo avuto con paesi anche lontani, con cui, grazie alla diplomazia scientifica abbiamo incrementato i rapporti in questi anni. Per esempio in Asia o nei paesi del Golfo, ormai dappertutto, vorrei dire.

Dunque, quali prospettive future?
Nella ricerca noi svolgiamo anche un ruolo di formazione a paesi che guardano all’innovazione come la sfida del futuro. A Trieste ospitiamo un grande numero di scienziati che vengono dall’Africa. Perché l’Africa, non c’è dubbio, sarà frontiera del futuro per l’Europa e per il mondo occidentale per sviluppare anche cooperazioni che vadano a estendere l’innovazione e la tecnologia. Quindi diciamo che la diplomazia scientifica attraversa un po’ tutte declinazioni delle relazioni internazionali e per l’Italia è un punto che può essere di forte promozione dell’immagine del Paese. Un paese che è fatto di creatività, di innovazione, di ricerca, di tradizione e anche di futuro.

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Se i giovani ricercatori all’estero diventano ambasciatori del Sistema Italia

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