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“Da quello che si apprende sull’intervento in Siria intrapreso da Usa, Gran Bretagna e Francia emerge con chiarezza la natura precisa e proporzionata, per utilizzare le parole di Segretario alla Difesa Mattis, dell’operazione militare“, ci dice Matteo Bressan, analista della Emerging Challenges Analyst presso la Nato Defense College Foundation, che segue il conflitto siriano e i suoi risvolti fin dagli inizi.

Intorno alle quattro di mattina di ieri, sabato 14 aprile, un raid aereo rapidissimo e chirurgico (è durato meno di un’ora, non ha prodotto effetti collaterali) è stato condotto in maniera congiunta da Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Tre i target, preventivamente comunicati ai russi che hanno poi rigirato le informazioni a Damasco (un ufficiale siriano lo ha apertamente ammesso alla Reuters): un  centro di ricerca sulle armi chimiche nei pressi di Damasco; due depositi di precursori chimici militari inerti nell’area di Homs (all’interno di questo è stato colpito un centro di comando).

Il raid era stato annunciato da una settimana, e ha avuto come obiettivo principale quello di punire in modo formale e scenografico il regime siriano per l’attacco chimico su Douma (di cui gli americani dicono di aver prove certe sulle responsabilità assadiste). Un messaggio, più che altro, per dire che il superamento di certe linee rosse non sarà più tollerato; il presidente francese Emmanuel Macron (che, notare la furberia, si Twitter ha spiegato i motivi dell’azione anche in arabo per non perdere contatto con quel mondo in cui vuol giocare influenze senza passare da imperialista occidentale) ha detto che il motivo della scelta di agire era evitare che l’uso di armi chimiche all’interno del conflitto siriano potesse diventare “normale”.

E dunque, questo “one shot” — come l’ha definito il Pentagono per dire che si è trattato di un’operazione senza proseguimento (lo stesso hanno detto Parigi e Londra, precisando che non c’è il regime change siriano tra gli obiettivi pensati in Occidente) — influirà sul futuro della guerra civile globale siriana? “In effetti c’è da chiedersi quanto questa azione militare possa modificare i rapporti di forza in Siria e se sarà in grado di disinnescare il conflitto, ormai entrato nell’ottavo anno di guerra, anziché alimentarlo ulteriormente”, commenta Bressan.

Cosa servirebbe? “Se a questa iniziativa, seguirà una forte azione diplomatica capace di creare nuove condizioni sia nel dialogo di Astana sia in sede Onu, allora potrebbero aprirsi spiragli per una soluzione”. Però, spiega l’analista italiano, restano delle perplessità sul fatto che l’azione possa in qualche modo “scongiurare l’escalation tra Israele e Iran, sempre più evidente nelle ultime settimane”.

L’attacco anglo-franco-americano ha evitato di colpire obiettivi sensibili come le postazioni iraniane e quelle degli Hezbollah libanesi (sostenitori del regime siriano ultra-fedeli a Teheran), ma pochi giorni fa gli israeliani hanno attaccato di nuovo, e con estrema durezza, in Siria. Obiettivo: una base dove si trovavano acquartierate anche forze iraniane (e hanno ucciso quattro Pasdaran).

“Proprio ieri al riguardo — aggiunge Bressan — il leader degli Hezbollah, Hasan Nasrallah, ha dichiarato che, con il raid israeliano della settimana scorsa contro la base aerea T-4, Iran ed Israele siano entrati in contatto diretto nel campo di battaglia siriano. Questo è uno scenario molto preoccupante, rispetto al quale Stati Uniti e Russia dovranno dialogare se vorranno evitare il rischio di uno scontro diretto tra gli attori regionali”.

 

 

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