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Il caso o il destino hanno voluto che fosse il tavolo numero 1, esattamente come è una priorità trasformare il potenziale della ricerca e dell’innovazione in ricchezza e crescita. Si è trattato di un confronto aperto e franco sullo stato dell’arte, sulle necessità e sulle azioni. Un’ora e mezza di dialogo e ascolto che hanno lasciato tutti più ricchi, una discussione che ha appena lambito le questioni più rilevanti, ma che ha indicato alla politica alcune tracce da tradurre in risultati concreti.

Dobbiamo essere franchi: l’Italia è indietro. Stati Uniti, Francia, Germania, da più di vent’anni sono intervenuti nel settore e hanno creato innovazione, lavoro, ricerca. In Italia c’è una alta qualità della ricerca e della Piccola e media impresa, ben il 65% delle aziende innovative ha un brevetto di proprietà. Aziende che però non riescono a crescere ed essere competitive nei mercati internazionali. Quindi è necessario lo scatto. Senza un ecosistema adeguato di Pmi innovative che crescono c’è il rischio che persino l’incentivo pubblico alle startup diventi una forma di ammortizzatore sociale.

Per lo scatto servono capitali, managerialità e formazione.

Attivare i capitali: oggi gli enti e i fondi previdenziali in Italia hanno risorse per circa 220 miliardi e ne allocano nell’economia reale/venture capital il 3%. In Germania gli stessi soggetti allocano circa il 20% delle loro risorse, in Olanda il 25%. Parliamo di capitale paziente, investimenti di medio/lungo periodo. E’ paradossale che un fondo previdenziale abbia più possibilità e convenienza ad investire sul mercato finanziario tedesco che in Italia. Si tratta di una leva negativa: gli altri crescono nei settori innovativi e noi rimaniamo fermi, e rimanendo fermi diventiamo più piccoli. La beffa appunto è che lo facciamo anche utilizzando proprio i nostri soldi.

Per crescere serve anche capacità manageriale, per sviluppare una idea e un business. La formazione va riorientata ulteriormente verso una relazione con le imprese e il mondo produttivo, cogliendo così la necessità di maggiore multidisciplinarietà.

Per tutto questo lo Stato deve consentire e fare moral suasion affinché chi ha capitali ne allochi una parte su strumenti di venture capital, private equity, legati al sistema paese. In questo quadro lo Stato deve usare i fondi pubblici in modo settoriale e non a pioggia, come si è iniziato a fare. Bisogna supportare startupper, ricercatori e Pmi innovative con percorsi di tutoraggio: imparare a dire di no per aiutare chi sta sbagliando. Nell’ottica del tutoraggio il fallimento non è un’onta ma può convertirsi in esperienza utile per il successo, chi è fallito una volta può comprendere meglio di altri gli errori da evitare.

Bisogna disseminare e formare competenze manageriali, anche col contributo del sistema delle professioni, in una ottica multisciplinare e di contaminazione, infatti per crescere non basta una buona idea, serve saperla trasformare in un fatto concreto e metterlo a frutto in una ottica di mercato.

L’università deve supportare la crescita dei propri ricercatori migliori, creando percorsi semplici e a regole di mercato per far si che le idee che nascono al proprio interno diventino ricchezza per il sistema: spin-off universitari e brevetti sono il seme dello sviluppo e della crescita dell’economia reale. Vanno inoltre incentivati e supportati programmi che consentono lo sviluppo ed il miglioramento delle capacità di execution come ad esempio quelli che prevedono la gestione dei progetti in modalità “agile”, anche a partire dalla scuola secondaria e guardando ai settori di vocazione italia: cultura e arte, healthcare, robotica meccatronica, intelligenza artificiale, foodtech.

Sergio Boccadutri

Alla Leopolda 8 abbiamo parlato di Venture Capital

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