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La Banca centrale europea (Bce) ha sorpreso gli osservatori e ha deciso di tagliare tutti i tassi di riferimento del costo del denaro, mentre il programma d’acquisto di titoli di Stato varato un anno fa (il Quantitative Easing, Q.E) non solo aumenta di 20 miliardi di euro al mese (arrivando, quindi, a 80 miliardi al mese), ma viene ampliato all’acquisto di titoli emessi dalle aziende più solide. Come da attendersi, queste notizie, e la conferenza stampa del presidente della Bce Mario Draghi, hanno dato un robusto impulso alle Borse, salvo, poi, farle rientrare nella volatilità che da diverse settimane caratterizza il mercato finanziario.

Le caratteristiche di quella che possiamo chiamare la seconda fase del Q.E. (alcuni cronisti si sono affrettati a parlare di nuovo Q.E.) sono state ampiamente illustrate tanto nella conferenza stampa del presidente Draghi quanto nel comunicato della Bce. I resoconti dei corrispondenti della stampa internazionale presenti ieri 10 marzo a Francoforte hanno anche mostrato quanto sia stata sofferta e difficile la decisione di questa nuova iniezione monetaria da parte degli organi centrali dell’istituto. Alla sua base, c’è l’aggiornamento delle stime macroeconomiche effettuate in questi ultimi giorni dal servizio studi della Bce. La crescita del Pil è ora stimata allo 1,4% per quest’anno, all’1,7% per il 2017 e all’1,8% per il 2018. “La previsione è stata rivista al ribasso per riflettere la debolezza dell’economia globale”, ha spiegato Draghi. Le previsioni precedenti erano di un aumento del Pil dell’1,6% per quest’anno, seguita da saggi più sostenuti nei due anni successivi. La Bce ha anche ridotto le proprie stime del saggio di inflazione che resterebbe, nei tre anni della previsione, inferiore all’obiettivo del 2% l’anno. In breve, la stessa Bce ritiene che, nonostante la messa in atto di misure monetarie innovative e di grande portata, il target non verrà centrato.

A questo punto, occorre porsi due domande. La prima è se non si sono raggiunti i limiti delle misure monetarie per rivitalizzare la dormiente vecchia Europa che pare scivolare nella ‘stagnazione secolare’ che la caratterizzò prima della rivoluzione industriale. La seconda è cosa sarebbe avvenuto se la Bce non si fosse mossa con fantasia ed utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione.

Molto probabilmente la politica monetaria più di tanto non può fare. All’inizio della settimana diversi quotidiani hanno riassunto uno studio della Cgia di Mestre che documenta come i grandi istituti bancari non avrebbero convogliato verso le aziende gli 87 miliardi di titoli pubblici diretti dalla Bce all’Italia, mentre nello stesso periodo i prestiti degli istituti di credito alle imprese sono diminuiti di 15 miliardi di euro (rispetto ai 12 mesi precedenti). L’impressione è che numerosi istituti hanno utilizzato il Q.E. per “ripulire” i loro conti da crediti deteriorati piuttosto che per nuove attività. Tuttavia, questa è solamente una delle componenti. Pure in Germania e in Francia, dove le previsioni di crescita economica per il biennio 2016-2017 sono più favorevoli che in Italia e dove i prestiti alle società non finanziarie sono aumentati negli ultimi 12 mesi, l’inflazione è prossima allo zero (0,2% per i consumatori tedeschi e 0,1% per quelli francesi).

Quindi, non è solo l’”opportunismo” degli istituti di credito a fare sì che “il cavallo non beva” la liquidità che gli viene fornita. Il nodo di fondo risiede nei limiti delle politica monetaria in una fase di rallentamento dell’economia mondiale e di rischi di una nuova deflazione nell’area dell’euro. La revisione al ribasso delle stime di crescita da parte del servizio studi della Bce conferma che la Banca dell’euro è consapevole di potere fare molto di più; il “bazooka” di Draghi nell’attuale contesto è piuttosto spuntato. Perché possa incidere occorrono quelle profonde riforme nei mercati del lavoro, dei prodotti e dei servizi che l’eurozona, legata ad un passato mitico (e che non tornerà), non riesce ad avere il coraggio di fare. Ed anche una sospensione del Fiscal Compact, unitamente ad una ristrutturazione del debito europeo.

Tuttavia, se non ci fossero state le flebo della Bce probabilmente saremmo da tempo in deflazione, con le conseguenze finanziarie, economiche e politiche che si possono immaginare.

A mio avviso, le vitamine propinate dal Bce non sveglieranno l’Europa dal letargo, ma ne impediranno il collasso. Sta a Governi e Parlamenti (ed alle forze politiche e sociali) fare il resto. Prima che sia troppo tardi.

Lira, Draghi, Qe

Perché non bastano le vitamine della Bce di Draghi a evitare il collasso dell'Europa

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