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Chiamatelo pure, a sinistra e a destra, col solito sarcasmo, visto che è in missione nel continente nero, Renzi l’Africano. Come lo Scipione delle guerre puniche: le uniche che Giulio Andreotti, scherzando una volta con Indro Montanelli sulle trame che gli venivano ogni giorno attribuite, si compiacque di non sentirsi addebitare.

L’Annibale di Renzi, lontano erede di quello sconfitto a Zama nel 200 avanti Cristo da Publio Cornelio Scipione, che sedici anni prima era stato fra i superstiti della disfatta di Canne, non combatte in Africa ma a Bruxelles. È il presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker, che dedica ormai le sue migliori energie ai tentativi di mettere in riga il troppo giovane e ambizioso presidente del Consiglio italiano, refrattario alle buone maniere nei rapporti personali e alle regole contabili dell’Unione nell’uso delle risorse finanziarie, o del debito.

Probabilmente il lussemburghese Juncker, spalleggiato non dagli ottanta elefanti della battaglia di Zama ma dalla  potente cancelliera tedesca Angela Merkel, non farà la fine di Annibale. Né Renzi, al ritorno dall’Africa, sfilerà davanti ai ruderi imperiali di Roma sentendosi un nuovo Scipione. Ma deriderne contenuti e toni della polemica ingaggiata con Bruxelles e con quelli che lui chiama i “professori dello zero virgola”, non mi sembra soltanto poco o per niente patriottico. Mi sembra più semplicemente stupido, come l’insospettabile Romano Prodi, quando era dov’è oggi Juncker, definì la pretesa di applicare i parametri europei senza la necessaria “flessibilità”.

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E’ a dir poco curioso che, in sintonia con il capogruppo tedesco dei popolari nel Parlamento di Strasburgo, ad annunciare l’esaurimento della flessibilità sulla quale il governo italiano vorrebbe contare sia stato a Bruxelles il commissario Pierre Moscovici. Il quale rappresenta un paese – la Francia – che non ha sentito il bisogno di chiedere, ma ha semplicemente annunciato, dopo un proditorio attacco terroristico subìto sul suo territorio, di sentirsi libero da ogni vincolo comunitario di bilancio per affrontare la nuova emergenza.

 

L’Italia per fortuna non ha questo tipo di emergenza ormai bellica, pur essendo impegnata su diversi fronti della lotta internazionale al terrorismo islamista, anche in territori, come la Libia, dove i francesi hanno creato le condizioni per farvi maturare quello che c’è. Ma essa ha una costosissima emergenza chiamata immigrazione, condivisa di certo con altri paesi dell’Unione ma aggravata da confini drammaticamente vulnerabili come quelli marittimi. Dove vengono contestati da Bruxelles controlli inadeguati e minacciate procedure d’infrazione.

Ebbene, per le spese derivanti da questa emergenza a Bruxelles si contesta il diritto reclamato dal governo italiano di scomputarle dal calcolo del deficit consentito dai parametri europei. A meno che non si tratti di partecipare, come è stato concesso per oltre duecento milioni di euro, agli aiuti voluti dalla Germania alla Turchia in cambio del contenimento dei flussi migratori diretti, attraverso la Grecia e i Balcani, verso la stessa Germania. Che intanto procede, con altri, a controlli o sospensioni della libera circolazione in Europa fisicamente impossibili nelle acque e sulle coste italiane.

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A questo punto, e per non parlare delle altre vertenze in atto o potenziali con gli altri paesi dell’Unione, dalle banche all’acciaio, mettersi a misurare parole e toni di Renzi, e denunciarne un imperdonabile “isolamento”, giocando di sponda con Bruxelles, Berlino, Parigi e altrove, è francamente autolesionismo. E farlo per ragioni di politica interna, perseguendo più la caduta del governo che la difesa di interessi nazionali declassati come nazionalistici, per cui si mescolano allegramente grillini, leghisti e forzisti, è come segare i rami dell’albero su cui si siede.

 

Pure Altiero Spinelli si starà rivoltando nella tomba a Ventotene, davanti alla quale Matteo Renzi ingenuamente non ha voluto mancare, nel trentesimo anniversario della morte del fautore dell’Europa federale, per cercare di scrollarsi il mantello del nazionalista confezionatogli addosso dagli avversari come solo i sarti della malafede sanno fare.

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