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Nei giorni scorsi le cronache si sono soffermate a lungo sull’Aula del Senato, pressoché vuota, durante la discussione generale sulle riforme costituzionali. Il senso della critica era il seguente: i senatori polemizzano tra di loro, chiedono di discutere, poi, al momento buono, tornano a casa, in compagnia del trolley. Succede sempre così durante la discussione generale di un provvedimento. Si ripartisce il tempo a disposizione tra i vari gruppi, poi, in Aula vanno solo quelli a cui è affidato il compito di agitare la propria bandierina e qualche loro amico. Ma è giusto così, anche perché ben pochi degli iscritti a parlare dicono qualche cosa che valga la pena di ascoltare. Poi, per gli stakanovisti, è sempre in funzione la tv a circuito chiuso che dà la possibilità di seguire il dibattito dal proprio ufficio.

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Quest’ultima vicenda dimostra, ancora una volta, che a rendere farraginoso il lavoro del Parlamento non è il ‘’bicameralismo perfetto’’, ma lo sono i regolamenti. Sarebbe bastato adottarne dei nuovi (mediante una procedura molto più semplice e diretta di quella prevista per la revisione costituzionale) per risolvere gran parte del problema di una maggiore efficienza del processo legislativo. Si sarebbe potuto ridurre il tempo dedicato ai riti inutili (come la discussione generale) o le prassi ripetitive  come la presentazione, la discussione  e il voto sugli stessi  emendamenti) che ora si effettuano sia in Commissione, sia in Aula. Per quanto riguarda le audizioni in Commissione sui disegni di legge sarebbe sufficiente che si svolgessero in seduta comune oppure attraverso la trasmissione dei relativi verbali, in modo che gli stessi soggetti siano auditi una volta sola. Infine, la Costituzione prevede anche il conferimento della sede legislativa alle Commissioni di merito: un’opzione di cui si fa un uso troppo limitato, ma che permetterebbe di  risparmiare tempo ed energie.  Alla Camera, poi, il regolamento impone 24 ore di ‘’pausa di riflessione’’ prima di procedere ad un voto di fiducia.

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In un bel film del 1951 “L’asso nella manica” di Billy Wilder un giornalista privo di scrupoli (interpretato da Kirk Douglas) si imbatte, in una località sperduta del New Mexico, nel crollo di una vecchia miniera dismessa in cui è rimasto sepolto un poveraccio che andava alla ricerca di antichi cocci degli ex nativi. Fiutando lo scoop, il giornalista convince lo sceriffo e gli appaltatori a perforare la montagna dalla cima, anziché entrare nella galleria e puntellarla a dovere. Così un’operazione di soccorso che poteva essere risolta in poche ore si trasforma in un lavoro di giorni alla presenza delle comunità dei mass media, dei Luna Park e dei gitanti della domenica, provenienti, con famiglia appresso, dagli Stati limitrofi. Alla fine, il poveraccio ci lascia le penne. La metafora ficcante serve a spiegare quanto sta succedendo sotto i nostri occhi al Senato. Bastava puntellare i regolamenti, hanno preferito perforare la Costituzione. Chi sarà la vittima?

Come rendere efficienti le Camere senza modificare la Costituzione

Nei giorni scorsi le cronache si sono soffermate a lungo sull’Aula del Senato, pressoché vuota, durante la discussione generale sulle riforme costituzionali. Il senso della critica era il seguente: i senatori polemizzano tra di loro, chiedono di discutere, poi, al momento buono, tornano a casa, in compagnia del trolley. Succede sempre così durante la discussione generale di un provvedimento. Si…

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