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Cocktail, premierato e politica estera. È l’alchimia perfetta, che coniuga i diversi ingredienti del piatto forte: la serata per celebrare il traguardo del numero 200 della rivista Formiche, il progetto editoriale fondato da Paolo Messa nel 2004.

Il logo troneggia nel mezzo degli Studios di Piazza Gae Aulenti a Milano. Lo slalom per avvicinarsi al palco è tra manager, politici, diplomatici, giornalisti, imprenditori. La qualità si misura anche dagli ospiti e Formiche, in questo, riesce a primeggiare.

È un momento a metà tra il giubilo della festa e la riflessione sulle sfide della contemporaneità. L’agenda politica nazionale, i temi internazionali e i conflitti in corso. Sono le tematiche al centro del dibattito moderato dal direttore editoriale Roberto Arditti e dal direttore della rivista Formiche, Flavia Giacobbe.

Ad alternarsi al banco dei relatori, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, il governatore Lombardo Attilio Fontana, il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, il sottosegretario alla Difesa Matteo Perego di Cremnago e il Prof. Giulio Tremonti, già ministro e senatore, ora parlamentare e presidente della commissione Esteri della Camera.

Sulla “riforma delle riforme”, il premierato – cavallo di battaglia della maggioranza, bandiera del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni – è intervenuto la seconda carica dello Stato. “Al Senato – così La Russa – è già partito l’iter parlamentare per arrivare a cambiare una parte importante della nostra Costituzione, la seconda parte, quella relativa all’elezione del presidente del Consiglio”. Perché il centrodestra ha deciso di puntare sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, che presumibilmente non sarà decisa in Parlamento ma dai cittadini con un referendum? “Per il tentativo, credo fallito, – ammette il presidente del Senato – di trovare mediazione con altre forze politiche che avevano incentrato la polemica sul ‘volete levare poteri al presidente della Repubblica”’. Personalmente, prosegue, “non ho titolo per dire chi sbaglia e chi ha ragione; dico però che tutta l’opposizione, o quasi, ha detto chiaro e tondo ‘non vogliamo che sia il popolo a decidere chi sia il presidente, che sia della Repubblica o del Consiglio’”. E allora la richiesta dell’attuale riforma parte dal presupposto “che toccherà ai cittadini decidere se è giusto o sbagliato”. Del resto, osserva La Russa, ”il presupposto è che i governi italiani fino a oggi sono stati in qualche modo condizionati dalla scarsa durata e dal fatto di non avere un suffragio popolare certo. Gli ultimi, a maggior ragione, hanno visto presidenti del Consiglio mai scelti dai cittadini. Noi vogliamo che siano i cittadini a decidere e a scegliere per cinque anni il presidente del Consiglio. L’opposizione dice ‘no, discutiamo su tutto ma non di questo’”. “La mia previsione – azzarda La Russa – è che tra queste posizioni inconciliabili, ma molto chiare, se non vincerà una con una maggioranza qualificata alta, toccherà ai cittadini e dunque a ciascun elettore dire chi ha ragione”. Dunque, referendum.

E, d’altra parte, era qualcosa già nell’aria. Se il premierato resta un fronte caldo e di profonda conflittualità tra maggioranza e opposizione, ancor più aspro è il confronto sull’Autonomia differenziata. Tradotto: ddl Calderoli. Una storica linea programmatica leghista, rilanciata ieri sera a Milano anche dal presidente Fontana. “L’autonomia – scandisce il governatore – deve essere un tema da risolvere e affrontare in questa legislatura: può svoltare il futuro del nostro Paese. Chiediamo questa riforma perché siamo coscienti che dobbiamo competere con un mondo che non è centralistico e romano-centrico, ma che è fatto di autonomie, velocità ed efficienza”. Di più. Secondo Fontana “anche chi non vorrebbe l’autonomia avrebbe benefici: tutti gli amministratori dovranno mettersi in discussione e non ci si potrebbe più nascondere dietro Roma che non ascolta le richieste o che non dà le risorse. La nostra è una richiesta che non toglie niente a nessuno”.

 

Tremonti si incarica di tracciare un inquadramento tra la storia e le questioni globali, formulando un parallelismo fra l’attuale contesto di crisi e quello del Cinquecento. La linea di connessione tra le due guerre, in Medio Oriente e in Ucraina, partendo dall’attentato al World Trade Center.

A entrare nel vivo della questione mediorientale, è il presidente del Copasir che rivendica un grande “equilibrio” della posizione italiana. “Su ciò che sta avvenendo tra Israele e Palestina – così Guerini – credo che abbiamo una posizione equilibrata dal punto di vista dell’affermazione del diritto di Israele di esistere e di difendersi, ma al contempo, critica rispetto alle elezioni che Israele sta svolgendo a Gaza con l’impedimento degli aiuti alla popolazione civile. Su questo mi pare che il parlamento, al di là delle sfumature, abbia preso posizioni comuni. Le risoluzioni votate hanno visto anche momenti e spazi di convergenza, credo si debba continuare a lavorare in questa direzione”.

D’altra parte, l’ex ministro si dice preoccupato da “tutto ciò che può sfociare in antisemitismo, ma, da questo punto di vista, non ci sono, al momento, allarmi particolari”. Tuttavia il clima di tensione che si respira all’interno di diversi atenei italiani non passa inosservato. “Il diritto di critica è una cosa, l’antisemitismo è un’altra – mette in chiaro Guerini – . Le università devono essere luoghi di incontro, di discussione, dialogo e compressione reciproca, non separazione”. “Tutta l’attività dei nostri servizi di intelligence e di sicurezza – assicura – è rivolta a guardare le varie situazioni: si guarda con attenzione, ma non ci sono allarmi particolari da questo punto di vista”.

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LE GALLERY

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