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Mentre fondi come Sequoia sganciano le attività americane da quelle cinesi, c’è chi continua a tendere la mano tra le due superpotenze. Le tensioni geopolitiche, inevitabili in questo momento, non hanno fermato le visite in Cina dei due più importanti banchieri degli Stati Uniti: Jamie Dimon, numero uno di Jp Morgan e Jane Fraser, al comando di Citigroup.

Il primo, come raccontato da Formiche.net, si è recato nel Dragone la scorsa settimana. La seconda, invece, è sbarcata nella Repubblica Popolare in queste ore. L’obiettivo è lo stesso di Dimon, intrattenere relazioni più o meno costruttive con la seconda economia globale, che certo non se la passa un granché bene di questi tempi. Gli ultimi contatti diretti tra il mondo finanziario statunitense e cinese risalgono a prima della pandemia, quando Pechino aveva ancora l’illusione di tornare a macinare Pil come una volta, oltre il 6%.

Poi, il virus e la crisi del debito sovrano, hanno spazzato via le certezze. Eppure gli investitori cinesi hanno bisogno di quelli americani e viceversa. Lo scorso 5 giugno, la manager statunitense ha incontrato il capo della vigilanza finanziaria cinese, Li Yunze, al quale ha espresso l’intenzione di ampliare le operazioni di Citi nel Paese data la “piena fiducia nel suo sviluppo economico e finanziario”. Il giorno successivo, è stata invece la volta di un colloquio con Lin Songtian, presidente dell’Associazione popolare cinese per l’amicizia con i Paesi stranieri, con cui Fraser avrebbe discusso un rafforzamento del dialogo tra Cina e Stati Uniti nelle aree di interesse comune, stando ad una nota dell’organizzazione dedicata alla gestione degli affari esteri.

Insomma, Citigroup continuerà a investire in Cina. Prima di Fraser, come detto anche Jamie Dimon di Jp Morgan aveva incontrato i funzionari del governo cinese e le autorità di regolamentazione locali. A marzo, David Solomon di Goldman Sachs, Noel Quinn di Hsbc e Bill Winters di Standard Chartered avevano fatto lo stesso. Incontri, spiegava allora Reuters, dettati da un minimo comun denominatore: la volontà di espandersi e istituire nuove joint venture nella seconda economia mondiale. Tutto questo mentre la rivale newyorkese di Jp Morgan, Morgan Stanley, teneva un proprio evento incentrato sulla Cina a Hong Kong, con la partecipazione di circa 500 dirigenti di 260 aziende cinesi e più di 1.500 investitori globali.

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