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Per molti osservatori è una misura iniqua, a tratti controproducente, se il metro di misura è quello del mercato. Con il payback molte imprese farmaceutiche in questo ultimo scampolo di 2022 potrebbero ritrovarsi sotto l’albero di Natale il pagamento di non meno di due miliardi di euro da versare direttamente nelle tasche delle Regioni italiane, in virtù di un meccanismo che impone all’industria farmaceutica di concorrere nella misura del 50% al ripiano della spesa per l’acquisto diretto di farmaci da parte del Sistema sanitario nazionale.

Non è facile spiegare di cosa si tratta. Per rendersene conto, bisogna fare un passo indietro di oltre dieci anni, quando nel 2011 il governo cominciò a prevedere un tetto massimo alla spesa sanitaria per l’acquisto di farmaci e dispositivi medici, dell’ordine del 4,4% in rapporto Fondo sanitario ordinario, vale a dire le risorse che ogni anno lo Stato stanzia per la sanità, acquisti inclusi.

Ora, con la successiva manovra del 2015 venne stabilito che in caso di sforamento del suddetto tetto da parte delle Regioni per l’acquisto diretto di farmaci, una quota (pari al 40% dal 2015 al 2017 e al 50% dal 2017 in avanti) venisse pagata dalle stesse imprese fornitrici, sostenendo così la spesa sanitaria. In altre parole, se una Regione spendeva più del preventivato, generando disavanzo, ecco che l’azienda che aveva fornito per via diretta i beni, doveva accollarsi una parte di deficit.

Dove sta il problema? A partire dal 2013 la spesa per acquisti diretti è risultata costantemente sottostimata, così che si spendeva più di quanto si stimava all’inizio di ogni anno. E alla fine il disavanzo era pressoché garantito, con conseguente chiamata in causa della filiera farmaceutica (ma anche con una fioritura di contenziosi tra industria e Regioni, tutt’oggi in essere). La quale adesso, alla luce dell’impennata dei costi energetici e dopo due anni e mezzo di pandemia che ha gonfiato la spesa sanitaria, si ritrova costretta a onorare un conto salatissimo. Il che comporta ovviamente non solo un danno all’industria (le imprese minori, con meno cassa, potrebbero non sopravvivere a tali esborsi) ma anche un pessimo messaggio all’estero e a chi vuole venire in Italia a investire: se gli enti locali sforano il bilancio, allora qualcuno ci deve mettere una pezza. E quel qualcuno sono le aziende. Formiche.net ne ha parlato meglio con Vincenzo Fortunato, avvocato e docente di diritto amministrativo.

“Se il legislatore, mantenendo questo payback, prevedesse una piccola modifica, il problema si potrebbe risolvere”, spiega l’esperto. “Vede, ci sono due tetti di spesa, uno riguarda l’acquisto di prodotti farmaceutici per via convenzionata, mentre l’altro riguarda la spesa diretta, quella connessa agli ospedali per intenderci. Ora, se la prima spesa è costantemente sottostimata, vale a dire che si spende meno di quanto si pensa, la seconda è sovrastimata. Di conseguenza nel primo caso si produce un avanzo, nel secondo un disavanzo. La mia proposta va in questo senso: se l’avanzo venisse spostato in parte o per intero per colmare il disavanzo della seconda spesa ecco che si eviterebbero molti problemi e sarebbe tutto più ragionevole e gestibile da parte delle stesse imprese. Oggi ci sono aziende, soprattutto attive nella spesa diretta, che sono ogni anno chiamate a integrare il disavanzo, al contrario di quelle attive nella spesa farmaceutica dove essendoci un avanzo non devono pagare nulla”.

Insomma, una specie di switch, per giunta a parità di risorse visto che non bisognerebbe rimpinguare il Fondo sanitario. Secondo Fortunato, l’attuale assetto ha il sapore del protezionismo, perché “si scarica in modo irragionevole e per certi versi incostituzionale parte della spesa pubblica sulle multinazionali, che di solito sono anche le imprese che producono farmaci più innovativi e sono maggiormente coinvolte nella spesa diretta. Quello che si può fare, senza toccare le risorse date, cioè quelle del Fondo, è proprio questo: spostare l’avanzo della spesa farmaceutica sul disavanzo della spesa diretta. Invece adesso tutto ciò che avanza viene usato liberamente dalle Regioni, a loro piacimento. Questa sarebbe secondo me una scelta sensata da mettere nella manovra”.

Fortunato poi si spinge oltre. “Il payback, così impostato, rischia anche di allontanare chi investe perché per i motivi che le ho spiegato prima: vengono premiate le imprese che innovano meno, visto che il grosso delle aziende della spesa diretta sono multinazionali, il cui quoziente innovativo è certamente maggiore. E così all’estero passa il messaggio che l’Italia non è un mercato accogliente. Per questo la mia proposta non mira a stravolgere il quadro delle risorse, perché si tratta di una misura perfettamente indolore, proprio perché non richiede misure aggiuntive”.

Il payback fa male alle imprese (e all'innovazione). La proposta di Fortunato

Ogni anno molte imprese debbono concorrere al ripiano della spesa regionale diretta, legata all’acquisto di farmaci. E adesso, tra postumi della pandemia e inflazione alle stelle, il conto rischia di essere ancora più salato, mandando un messaggio sbagliato alle aziende che investono in Italia. Ma per il docente di diritto amministrativo, la soluzione c’è

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