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Latitudine per longitudine il centro di gravità permanente della crisi è circoscritto all’interno dei 5 Stelle. L’incubo di un’estate alla ricerca del collegio perduto e dei voti cadenti come le foglie di un autunno che culmina davanti al plotone d’esecuzione degli elettori furenti e incattiviti, sta riportando alla realtà la maggior parte dei parlamentari grillini.

Secondo gli ambienti politici meno pessimisti, più che un Draghi bis all’orizzonte si intravede già un Movimento 5 Stelle 2, cioè una nuova scissione, formale o di fatto, con l’ala governista della quale farebbe parte anche il presidente della camera Roberto Fico che mette in minoranza Giuseppe Conte e lo “convince” a votare la fiducia al premier, oppure ad uscire allo scoperto.

Per Mario Draghi, insomma dopo il mercoledì delle ceneri arriverebbe la Pasqua di resurrezione, si sostiene nelle analisi riservate e discrete dei palazzi istituzionali.

Dall’Europa al presidente degli Stati Uniti Joe Biden, al Fondo Monetario internazionale, agli stessi mercati finanziari, l’enorme impatto internazionale delle dimissioni del presidente del Consiglio e il riscontro delle colossali conseguenze economiche e sociali della caduta del governo non soltanto per il Pnrr quanto soprattutto nell’immediato per la cancellazione dei provvedimenti a sostegno delle imprese, delle famiglie e  per arginare l’impazzimento di bollette e prezzi dei carburanti, hanno fatto constatate alla maggior parte degli irriducibili senatori che giovedì scorso si sono rifiutati di votare la fiducia all’esecutivo del quale pure fanno parte, l’urgenza di ripristinare la piena operatività del governo Draghi.

Una restitutio in integrum, la reintegrazione dello stato di diritto anteriore, che in ogni caso per gli ultimi eredi di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio avrà un enorme costo politico e d’immagine.

Mercoledì prossimo al Senato, dinanzi alla dettagliata disamina di Draghi, che traccerà una impietosa radiografia di ciò che non è più concepibile e del tanto che ancora si dovrebbe fare, una radiografia che metterà l’intero Parlamento con le spalle al muro al cospetto dell’Italia e dei cittadini, le ceneri del pentimento e della presa di coscienza saranno principalmente quelle dei grillini. Ma non solo i 5 Stelle.

Nelle parole che il premier scandirà aleggeranno anche concreti riferimenti a quanti potrebbero essere ancora tentati, per interessi elettorali, di forzare l’equilibrio già precario dei conti pubblici e ad “invocare”, col metodo ormai invalso dei penultimatum mediatici, provvedimenti demagogici  irrealizzabili.

Per Draghi la rotta della salvezza e dello sviluppo del Paese rimane quella dell’attuazione delle riforme e della modernizzazione. “Whatever it takes”, un costi quel che costi per mettere in sicurezza l’Italia che, anche se silenziosamente, vedrà il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella stagliarsi idealmente accanto al premier.

Un presidente del Consiglio super partes che a questo punto non potrà ignorare, col rischio di fare affondare il Paese, la pressoché unanime richiesta di proseguire a guidare il governo della Repubblica, con la credibilità ed prestigio che ha concretamente dimostrato di riscuotere da Washington, a Bruxelles, a Londra, a Parigi, Berlino e in tutte le capitali occidentali.

Un Premier civil servant di un Paese paradossalmente alla ricerca di un compiuto senso dello Stato.

Draghi premier whatever it takes, costi quel che costi

Nonostante le convulsioni, è evidente l’evoluzione verso Mario Draghi da parte del centro di gravità permanente della crisi che è circoscritto all’interno dei 5 Stelle. L’analisi di Gianfranco D’Anna

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