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Per i giornalisti italiani è un pezzo di storia che se ne va. L’Inpgi, la cassa di previdenza della categoria intitolata a Giovanni Amendola, sta per sparire, risucchiata dal ben più mastodontico Inps ed evitando per un soffio il ben più umiliante commissariamento. Lo ha sancito l’articolo 28 della manovra appena approvata dal governo di Mario Draghi. Non c’erano, a dire il vero, molte alternative. Forse nemmeno quella, per lungo tempo vagheggiata, di allargare la platea dei contributi con l’ingresso dei comunicatori, da affiancare ai giornalisti liberi professionisti o dipendenti.

La lunga crisi dell’editoria, la chiusura di molti giornali e la riduzione del numero di giornalisti che pagano i contributi alla cassa ha ridotto sensibilmente le finanze dell’Istituto, mettendone a rischio la capacità di garantire le prestazioni ed erodendone il patrimonio. E così, alla fine, con un debito monstre di quasi 250 milioni di euro, la cassa previdenziale dei giornalisti italiani chiuderà i battenti per confluire nell’Inps. Nel testo della manovra si legge che al fine di garantire la tutela delle prestazioni previdenziali in favore dei giornalisti, con effetto dal primo luglio 2022, “la funzione previdenziale svolta dall’istituto in regime di sostitutività delle corrispondenti forme di previdenza obbligatoria, è trasferita, limitatamente alla gestione sostitutiva, all’Istituto nazionale di previdenza sociale che succede nei relativi rapporti attivi e passivi”, mutui in essere compresi.

Non è tutto. “Con effetto dalla medesima data – spiega ancora l’articolo 28 – sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti i giornalisti professionisti, pubblicisti e i praticanti titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica, nonché, con evidenza contabile separata, i titolari di posizioni assicurative e titolari di trattamenti pensionistici diretti e ai superstiti già iscritti presso la medesima forma”.

In particolare, per gli iscritti alle gestioni Inpgi (separata e principale), l’importo della pensione è determinato dalla somma delle quote di pensione corrispondenti alle anzianità contributive acquisite fino al 30 giugno 2022 calcolate applicando le disposizioni vigenti presso l’Inpgi e della quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal primo luglio 2022, applicando le disposizioni vigenti nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

Ma da dove arriva una simile rivoluzione? Semplicemente dai numeri. Il bilancio consuntivo del 2020 è infatti disastroso. Facendo riferimento alla gestione principale (Inpgi 1), quella dei lavoratori dipendenti, la perdita di esercizio del 2020 è -242,2 milioni di euro, con un peggioramento di -70,8 milioni rispetto al disavanzo del 2019 (era -171,4 milioni). La gestione previdenziale (che comprende anche l’assistenza) ha una perdita di 188,4 milioni, in peggioramento di 34,3 milioni rispetto alla perdita del 2019 (era -154,1 milioni). In tutti e due i casi siamo davanti al record negativo nella storia dell’Istituto guidato da Marina Macelloni. Inoltre la quota del patrimonio investito che può essere venduta in maniera rapida si è di molto assottigliato con una riduzione rispetto al 2019 da 369 a 217 milioni a fine 2020. Insomma, l’Inpgi rischiava già nel 2022 di non avere liquidità per pagare le pensioni.

Per qualcuno comunque il riassetto della previdenza dei giornalisti italiani, è solo un primo passo. Come per Raffaele Lorusso, segretario della Fnsi, la federazione della stampa. “La soluzione ipotizzata dal governo per affrontare la crisi dell’Inpgi è un passo in avanti importante, ma non definitivo, verso il riordino del settore. La preferenza dell’esecutivo per una delle due soluzioni elaborate dal tavolo tecnico, anche grazie al lavoro fondamentale dei vertici dell’Inpgi, sgombra il campo dall’ipotesi di commissariamento e liquidazione dell’istituto, che infatti non scomparirà.”

Addio all'Inpgi. L'Inps si prende la previdenza dei giornalisti

La manovra di Mario Draghi porta in dote il riassetto della previdenza dei giornalisti italiani. L’Istituto Giovanni Amendola, schiacciato da 250 milioni di debiti, dal 1 luglio del 2022 passerà sotto la gestione dell’Inps. Finisce un’era, ma meglio del commissariamento

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