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Il Pnrr destina risorse cospicue al Mezzogiorno, che dovrebbero essere sufficienti ad invertire la tendenza del decennio 2008-2018, che ha visto gli investimenti pubblici annuali precipitare da 22 a 10 miliardi di euro.

Si potrebbe argomentare che gli 86 miliardi di euro che il piano prevede di impiegare nel Sud non rispettino l’allocazione necessaria al balzo in avanti (il big bang) che permetterebbe all’economia del Mezzogiorno di ripartire e allo stesso tempo di colmare il gap con il Centro Nord.

Si potrebbe anche sostenere, come alcuni hanno fatto, che una allocazione adeguata e conforme alle regole europee, richiederebbe una allocazione di 120-150 miliardi, ossia quasi del doppio di quella indicata. Come è stato osservato da più parti, tuttavia, il livello delle risorse pubbliche destinate può nascondere il vero problema dell’economia del Mezzogiorno, che consiste piuttosto nella carenza di realizzazioni produttive che nella mancanza di risorse finanziarie.

Questo problema dipende da un lato, da un ritardo produttivo di tipo strutturale, e dall’altro da una combinazione di una inadeguata capacità di realizzazione degli investimenti pubblici e di una insufficiente propensione ad investire degli operatori privati. La burocrazia e la proliferazione di norme nazionali e locali tendono inoltre a generare incentivi perversi, che ostacolano la realizzazione degli investimenti pubblici e scoraggiano gli investimenti privati.

Questi effetti includono la persistenza di una larga base di economia informale e di un sistema di prezzi parallelo, tollerati e in molti casi incoraggiati dalle inefficienze della Pubblica amministrazione e dei sistemi politici locali. Tra economia sommersa e carenza di gestione del territorio, il disallineamento tra incentivi pubblici e privati inoltre è la causa del degrado dell’ambiente nelle città e nelle campagne meridionali, con fenomeni incontrollati che vanno dal dissesto idrogeologico all’inquinamento pervasivo delle risorse naturali.

Infine, la stessa struttura produttiva, caratterizzata da una sostanziale dipendenza delle attività economiche meridionali da quelle del centro Nord, fa sì che gli investimenti realizzati nel Mezzogiorno presentino degli effetti indiretti (i cosiddetti moltiplicatori) interregionali di cui beneficiano soprattutto le regioni settentrionali.

La destinazione di risorse finanziarie, per quanto cospicue, è quindi destinata a non tradursi in effetti significativi sull’economia del Mezzogiorno e del Paese, se non è integrata con politiche industriali e fiscali che ne permettano la realizzazione, incoraggiando l’emersione delle attività informali e la mobilitazione di risorse produttive e rimuovendo le contraddizioni tra interessi pubblici e privati.

Né le politiche messe in atto dai vari governi negli ultimi decenni, né il Pnrr appaiono affrontare in modo adeguato questi nodi strutturali. Dal punto di vista della mobilità, il Pnrr destina circa 14 miliardi di euro alle infrastrutture sostenibili, ma questa cifra, largamente limitata al potenziamento della rete ferroviaria, dovrebbe essere adeguatamente sostenuta da politiche fiscali mirate.

Queste dovrebbero aggiungersi ai limitati incentivi previsti per le Zes (le cosiddette Zone Economiche Speciali) e incoraggiare investimenti nella logistica e nella attrezzatura del territorio. Per le infrastrutture digitali, il 45 per cento delle risorse per la connettività a banda ultra-larga sono destinate alle regioni del Mezzogiorno, ma i dati del Digital Economy and Society Index (Desi) indicano un gap tra Nord e Sud così ampio da far temere che questa allocazione possa fare ben poco per colmarlo.

Soprattutto nell’area di integrazione delle tecnologie digitali nella struttura produttiva sarebbero necessarie politiche di sostegno ai processi di ricerca e sviluppo e delle imprese innovative, con misure fiscali coraggiose, a supporto della estensione della banda larga e dei processi di digitalizzazione.

Nel caso delle politiche ambientali, il Pnrr presenta una meritoria allocazione di risorse agli interventi improrogabili sul settore idrico e sui rifiuti solidi. Tuttavia, questi interventi andrebbero inquadrati in una politica complessiva di tutela e manutenzione dell’ambiente, anche attraverso strumenti fiscali quali i pagamenti per servizi ecologici. È anche necessaria una visione di insieme che consenta una pianificazione territoriale efficace, soprattutto necessaria ora che il Covid ha scompaginato i modelli di insediamento e di crescita urbana precedenti. Nel caso della formazione, la missione 4 destina 14,5 miliardi di euro ad alcuni fattori critici dell’istruzione quali gli asili nidi e le competenze di base, ma questi interventi dovrebbero essere accompagnati da azioni a supporto della creazione delle competenze professionali criticamente assenti nella regione. Il peso che il Pnrr attribuisce al Mezzogiorno nella riforma della Pubblica amministrazione, importante come affermazione di principio, dovrebbe riflettersi nella identificazione di misure concrete di reclutamento, di formazione e di riorganizzazione complessiva dei processi amministrativi, di gestione e di monitoraggio.

In conclusione, molti hanno obiettato che il Pnrr manca di una ricognizione credibile di progetti realizzabili e questo è certamente un suo limite, anche se comprensibile dati i tempi brevi concessi per delineare una strategia complessiva di investimenti pubblici. Un limite più preoccupante, tuttavia, riguarda l’insieme di politiche industriali e fiscali previste dal piano. Soprattutto per il Mezzogiorno, appare necessario individuarle e integrarle con gli investimenti previsti, soprattutto nell’area della digitalizzazione e della mobilità sostenibile, per assicurare un effettivo decollo dell’economia e del superamento delle disparità territoriali.

Pnrr, cosa serve per centrare l'obiettivo dello sviluppo del Mezzogiorno

Con questo articolo inizia un appuntamento settimanale a cura di OpenEconomics in cui saranno analizzati gli impatti del Pnrr sull’economia. L’iniezione di risorse finanziarie, per quanto cospicue, non avrà effetti significativi senza politiche industriali e fiscali, l’emersione delle attività informali, la mobilitazione di risorse produttive e l’armonia tra interessi pubblici e privati

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