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In un’intervista al Giornale Antonio Tajani si complimenta con Mario Draghi per il discorso al Senato. Secondo il numero due di Forza Italia il governissimo guidato dall’ex presidente della Bce darà “una svolta” in politica estera mettendo una pietra sulle simpatie filocinesi del Conte 1 e Conte bis. “Da tempo noi di Forza Italia lamentiamo il fatto che c’è il fondato rischio di un cedimento commerciale a un partner che pratica concorrenza sleale nei confronti delle nostre imprese”.

Chissà se Tajani, di cui nessuno mette in dubbio la sincera fede atlantista, ha letto la lettera che quattro suoi europarlamentari hanno spedito alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e ai commissari Thierry Breton (Mercato interno), Margrethe Vestager (Concorrenza) e Valdis Dombrovskis (commercio) per dire l’esatto opposto. Cioè che l’Ue deve smetterla di vessare la concorrenza di Pechino e la “geopolitica” deve “restare fuori” dalla corsa alla rete 5G.

A firmarla c’è l’azzurro Fulvio Martusciello. E poi gli onorevoli del Ppe Giuseppe Milazzo, Aldo Patriciello, Herbert Dorfman, e il dem Giuseppe Ferrandino, insieme a tre parlamentari dalla Romania, Daniel Buda, Ciuhodaru Tudor, Cristian-Silviu Busoi.

Nella missiva gli eurodeputati chiedono a gran voce di porre fine alle “decisioni arbitrarie” per cui “ogni giorno sono esclusi dei fornitori”. “La nostra sovranità digitale inizia fornendo ai cittadini europei la migliore tecnologia possibile, non con vaghi dibattiti protezionisti”. Quindi l’appello alla Commissione: permettere “a tutti i player dell’industria di godere dello stesso trattamento, senza discriminazione basata sulle loro origini (in altre parole, “razzismo tecnologico”), finché si adeguano ai criteri tecnici e basati sui fatti”.

Martusciello rincara poi su Twitter: “Se l’Europa vuole posizionarsi tra i leader dell’era digitale deve prendere le sue decisioni in base ai suoi interessi e non quelli di terze parti”. Non serve molto per capire chi sia il vero oggetto della lettera inviata a Bruxelles. Huawei e Zte, i due principali fornitori di rete 5G cinesi con una fetta significativa del mercato europeo, sono da anni sotto la pressa degli Stati Uniti con l’accusa di spionaggio per conto del governo cinese (da loro fermamente negata).

L’Ue, nonostante le richieste da Washington DC, ha deciso di non escluderle dal mercato (come invece ha fatto il Regno Unito) ma ha anche alzato l’asticella della sicurezza con il 5G “toolbox”, la “cassetta degli attrezzi” con prescrizioni e criteri per gli Stati membri.

Ferrandino, eurodeputato Pd che ha fatto incetta di voti alle elezioni, solo quattro mesi fa, il 14 ottobre, era tra i firmatari di un’altra lettera agli stessi tre commissari, che sentenziava: “Non c’è dubbio che Huawei e Zte siano fornitori ad alto rischio, la cui tecnologia nelle reti 5G europee costituisce una minaccia alla sicurezza”.

Sorprende un po’ che l’appello ad allentare le maglie Ue arrivi proprio da un partito come Forza Italia che in questi mesi non ha mai usato i guanti nei confronti di Pechino. Quando nel marzo 2019 il governo Lega-M5S ha firmato il memorandum per la Via della Seta (anche sul 5G) Silvio Berlusconi si definì “molto preoccupato, anche per il futuro dei miei figli”. Certo, nei mesi non è mancata qualche giravolta. Come l’accordo siglato fra Mediaset e Huawei per la “trasformazione digitale” nel maggio scorso, che è ancora operativo.

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