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Medici e infermieri resteranno a futura memoria gli eroi della drammatica pandemia 2020. Ma il loro sacrificio e quello degli oltre 40 mila italiani falcidiati dal coronavirus sarà stato vano se non sapremo trarre insegnamento dalla lezione inferta (è il caso di dire) dall’esperienza di questi mesi.

La carica virale e l’imprevedibilità del contagio planetario non bastano a spiegare i numeri catastrofici registrati soprattutto in Italia. Raccogliamo amarissimi frutti da radici avvelenate dalle politiche del rigore che proprio dal settore vitale – nel senso letterale della parola – della sanità ha preteso di ricavare risparmi e magari profitti. Ed è una colpa egualmente spalmata su tutti i governi degli ultimi 20 anni, senza distinzione di colore politico.

Abbiamo assistito inermi a una cura dimagrante che ha rischiato di uccidere il malato. A Roma, negli ultimi anni, per ridurre i costi, sono stati chiusi e non sono stati mai più riaperti nonostante le richieste ospedali importanti come il Forlanini e il San Giacomo. Ma è un problema nazionale, analoghe vane campagne sono state condotte in tutte le altre regioni. E il perché è presto detto: basta consultare i dati.

Nel 2007 gli istituti di cura in Italia erano 1.197. Stando al più recente rapporto sullo stato del Sistema sanitario nazionale l’assistenza ospedaliera si è avvalsa invece di non più di 1.000 ospedali. Il 51,80% pubblici e il restante 48,20 privati accreditati. Quindi, 200 strutture in meno. Ma la riduzione del numero degli ospedali è conseguenza di un trend al quale assistiamo da 25 anni. Inevitabilmente, i 311 mila posti letto della fine degli anni Novanta sono diventati 151 mila. Un dimezzamento netto.

E il bollettino dello smantellamento potrebbe continuare all’infinito. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la proporzione ottimale sarebbe quella di 3 infermieri per ogni medico, mentre nella maggior parte delle regioni italiane si hanno tra i 2 e i 2,9 infermieri per medico, in Calabria e Sicilia il rapporto è inferiore a 2. Prima dell’inizio della pandemia in Italia c’erano 5179 posti di terapia intensiva tra pubblico e privato. Una circolare del ministero della Salute del 1 marzo stabiliva che aumentassero del 50%. Al 31 marzo in terapia intensiva c’erano 4023 pazienti e 9122 posti letto. Aumentati solo perché inseguiamo l’emergenza. Ma già in questo mese di novembre un terzo di quei posti sono occupati da malati Covid. Ed è uno dei parametri che preoccupa maggiormente.

In Germania si muore molto meno, ci si chiede perché. Forse una delle ragioni va rintracciata nei 1.925 ospedali con i loro 500 mila posti letto: una rete di copertura territoriale efficiente. Per non dire dei posti di terapia intensiva che sono passati nei pochi mesi della pandemia da 28 a 40 mila.

Ci separa un abisso. Il quadro italiano così scoraggiante porta a due ordini di conclusioni. Alla fine collegate tra loro. La prima: l’Italia non può permettersi di rinunciare ai 37 miliardi di prestito a tassi risibili da destinare al sistema sanitario e messi a disposizione dall’Europa attraverso il Meccanismo europeo di stabilità. Veti politici e reiterati tentennamenti non sono compatibili con la drammaticità e l’imprevedibilità della situazione che ci ritroviamo ad affrontare. Seconda conclusione, chiunque siederà a Palazzo Chigi e ai ministeri della Salute e soprattutto dell’Economia da qui ai prossimi anni non potrà tollerare ulteriori colpi di forbici. Al contrario, gli investimenti sul sistema sanitario soprattutto territoriale dovranno moltiplicarsi: ospedali, presidi di guardia medica, posti letto, medici, infermieri sono la nostra unica difesa di fronte a qualsiasi altra epidemia che dovesse riproporsi.

Adesso è troppo facile tessere le lodi dei medici e degli infermieri eroici in ogni talk. La rinascita passerà anche da un’inversione di rotta delle politiche rigoriste che hanno segnato colpevolmente questi anni. Sulla salute dei cittadini non si risparmia.

Perché il virus ci ha trovati colpevolmente impreparati

Sulla salute dei cittadini non si risparmia. Adesso è troppo facile tessere le lodi dei medici e degli infermieri eroici in ogni talk. La rinascita passerà anche da un’inversione di rotta delle politiche rigoriste che hanno segnato colpevolmente questi anni. La rubrica Ri-nascita di Romana Liuzzo, presidente della Fondazione Guido Carli

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