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Ci aveva provato quest’anno il presidente statunitense Donald Trump ma la pandemia ha mandato all’aria i suoi programmi. Ci riproverà nel 2021 il premier britannico Boris Johnson. L’idea è quella di un’alleanza tra democrazie per affrontare la sfida economica, militare, tecnologica e ideologica posta dalla Cina.

Johnson è deciso a rilanciare, in ottica Global Britain post Brexit, il progetto condiviso con Trump — naufragato, come detto, a causa della pandemia ma anche della controversia con i Paesi europei sul coinvolgimento della Russia auspicato dal presidente statunitense. Downing Street ha annunciato che a gennaio il premier sarà in India (dove oggi si trova il ministro degli Esteri Dominic Raab) per “rafforzare una relazione strategica fondamentale per l’occupazione e gli investimenti in tutto il Regno Unito”. Inoltre, il numero 10 ha comunicato che il governo ha invitato a partecipare al prossimo G7 (a presidenza britannica) l’Australia, la Corea del Nord e l’India, in qualità di “Paesi ospiti”. La nota di Downing Street fa riferimento all’“ambizione” del premier di “di lavorare con un gruppo di democrazie affini per promuovere interessi condivisi e affrontare sfide comuni”. Tradotto: costruire un fronte per arginare l’offensiva — militare e non — lanciata dalla Cina in Occidente ma anche nell’Indo-Pacifico.

Il progetto di alleanza “D-10” — che sta “Democracies 10”: Australia, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Corea del Sud, Regno Unito e Stati Uniti, oltre all’Unione Europea —, è stato pensato nel 2008 dal dipartimento di Stato americano. Ma negli scorsi mesi è stato rilanciato da Stati Uniti e Regno Unito. In particolare, dal Partito conservatore britannico. La sicurezza del 5G, i diritti calpestati a Hong Kong e nello Xinjiang oltre che l’aggressività cinese verso l’Australia sono i temi toccati in un editoriale sul Times da Tom Tugendhat, influente deputato conservatore e presidente della commissione Esteri della Camera dei Comuni. “Lavorare con altri per sviluppare il G7 è un inizio importante”, ha scritto. “Corea del Sud, India e Australia si aggiungeranno al gruppo, ma dobbiamo guardare oltre. Insieme, potremmo rafforzare la cooperazione, liberalizzare ulteriormente e approfondire i legami commerciali e avviare strategicamente controversie contro la Cina quando viola la legge dell’Organizzazione mondiale del commercio. Insieme, dobbiamo disegnare un nuovo corso per lavorare con la Cina quando segue le regole ed essere chiari dove riteniamo che non lo faccia”.

L’editoriale di Tugendhat si apre con un messaggio al presidente-eletto statunitense Joe Biden: “Quando il team Biden entrerà alla Casa Bianca il mese prossimo troverà un mondo molto cambiato” da quello lasciato quattro anni fa con la fine dell’amministrazione Obama. Un elemento che appare ben chiaro alla futura amministrazione statunitense.

Infatti, come raccontato da Formiche.net, Tom Malinowski, deputato democratico e membro della seconda amministrazione di Barack Obama, durante un recente webinar dell’Atlantic Council si era detto convinto — come molti ormai nel Partito democratico e come ha lasciato intendere lo stesso presidente-eletto — che “l’amministrazione Biden non tornerà alla vecchia China policy perseguita dell’amministrazione Obama” votata alla cooperazione su tutti i fronti. Certo, non seguirà la politica competitiva dell’amministrazione Trump. Ma il confronto rimarrà: piuttosto, aveva spiegato Malinowski, Biden cercherà di costruire un asse con gli “alleati democratici” in Asia e Europa per fronteggiare l’ascesa cinese. Siamo dinnanzi a una sfida “di idee e ideali”, aveva aggiunto il deputato evidenziando così come la sfida possa riguardare non soltanto le questioni commerciali, tecnologie e strategiche, ma anche quelle ideologiche.

Vista la prudenza dei Paesi europei e dell’Indo-Pacifico, molti analisti sono scettici sulla possibilità che questo progetto di D-10 possa venire formalizzato. Ma un tacito fronte comune sembra comunque destinato a nascere. Appuntamento al prossimo G7?

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