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Il 2020 sarà un altro anno di crescita per la Cina, mentre per la maggior parte dei Paesi occidentali, Italia in primis, sarà un anno storico di depressione economica.

Ad oggi, la Cina è ancora la regina dei mercati finanziari. Da gennaio la Borsa di Shanghai ha realizzato un +11% e quella di Shenzen +35%. Secondo i principali analisti di settore, l’economia cinese dovrebbe chiudere il 2020 con una crescita del Pil al +2,9%. In Europa , in Italia e negli Stati Uniti si avranno invece cali del Pil stimati tra il 6% ed il 10%. Numeri da depressione economica pari alla crisi del 29’ del secolo scorso.

In questi mesi molti esperti hanno denunciato la Cina per aver nascosto o aver mancato di trasparenza nella gestione delle informazioni sulla pandemia da Coronavirus. La questione apparentemente è stata già dimenticata dai governi occidentali, e a ben vedere è sparita dall’agenda della grande stampa (escludendo quella statunitense).

È sparita altresì, contestualmente, la questione della dipendenza occidentale dalle catene di fornitura cinesi. Una questione di primissimo piano per l’Europa, che pure dimostra di essere vittima di vecchi schemi dai quali non riesce a uscire.

Lo stesso “Green new deal”, il grande piano di riconversione energetica del vecchio continente, sbandierato anche dal nostro governo come un salvifico mantra, nella sostanza non fa che aiutare e incentivare le aziende cinesi.

Ci si dimentica che la Cina è il principale produttore di batterie elettriche, dominan circa l’80% del mercato. In Italia, senza una forte produzione domestica, ogni tipo di incentivo al settore è un aiuto diretto al Dragone cinese.

Il settore dell’automotive italiano, concentrato tra Lombardia e Veneto, è fortemente vincolato alla tecnologia dei carburanti tradizionali. Il settore dell’elettrico invece è un game changer: molte Pmi italiane rischiano di finire fuori mercato.

A beneficiarne, ancora una volta, è la Cina. Prendiamo i recenti incentivi nazionali ai monopattini elettrici, stanziati con i decreti per il rilancio economico. In pochi ricordano che almeno il 90% dei componenti di questi strumenti è “Made in China”. In poche parole, si fa debito pubblico per finanziare l’importazione, una beffa per gli italiani.

Al Governo dovrebbero riscoprire il concetto di politica industriale, magari leggendo qualche libro del prof. Giulio Sapelli. Se non incentiviamo la produzione Made in Italy e il mercato interno, non saremo in grado di rispondere alla marea di disoccupazione che colpirà il Paese in autunno.

Né saremo in grado di sciogliere il vero nodo geopolitico. Tutto l’Occidente è ormai praticamente dipendente dalla Cina, complice un’ottima campagna di soft power che questo Paese, in Europa e non solo, ha condotto negli ultimi decenni. Imponendo un’agenda globale, da una parte. E diventando la nazione produttrice del mondo, dalle medicine alla tecnologia fino ai prodotti agricoli.

Tutte le economie occidentali, nessuna esclusa, sono oggi subordinate nelle forniture al gigante asiatico. Ora, se davvero si vuole mantenere una coesione sociale nel Paese, il primo passo è ridare importanza alla produzione e al lavoro, e al Made in Italy. In fondo, non si tratta di altro se non rispettare e realizzare l’art. 1 della Costituzione.

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