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L’accordo tra Emirati Arabi Uniti e Israele è “un risultato politicamente rilevante per gli Stati Uniti. È un punto da cui partire per una riflessione più profonda, perché di fatto l’intesa marca un segno nei confronti della Cina e della Russia e conferma come la grand strategy Usa continui a guardare al Medio Oriente e ai suoi pilastri (partnership con Israele e presenza geostrategica nel Golfo arabo)”, spiega a Formiche.net Giuseppe Dentice, analista dell’Ispi, think tank per cui a inizio luglio aveva curato un approfondito lavoro sui potenziali effetti regionali delle annessioni (o non-annessioni) palestinesi da parte di Israele.

Su Foreign Policy Bilal Saab, Senior Fellow del Middle East Institute, ha scritto che “il Medio Oriente nel suo insieme sicuramente trarrà vantaggio da qualsiasi raffreddamento delle tensioni e da ogni diplomazia positiva”, ma chi ne esce rafforzato dall’accordo è Israele. D’altronde oggi il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ringraziato oggi il presidente egiziano al-Sisi e i governi di Oman e Bahrain per il loro sostegno allo storico accordo: e questo spiega la dimensione regionale dell’intesa. Contemporaneamente, da Abu Dhabi c’è molto spin e narrazione politica sul fatto che l’intesa con gli israeliani sia un atto di vicinanza ai palestinesi, che rimetta in piedi la possibilità di una situazione a due stati e che blocchi le annessioni (in realtà, come specificato anche dagli Usa, le congela). “Israele ha detto che non porterà avanti il riconoscimento della Cisgiordania, ma non è detto che le annessioni non procederanno lo stesso in effetti. Ed è di fatto come dice Saab: Israele ottiene la formalizzazione dello status quo regionale, portando a casa quello che si era prefissato da tempo”, spiega Dentice.

In effetti, nello statement congiunto sull’intesa c’è un termine riguardo alle annessioni, “further“, che sembra indicare come le ulteriori annessioni siano bloccate ma quelle già esistenti sono di fatto riconosciute. Dobbiamo in effetti partire da un equivoco che si è creato, secondo l’analista italiano: “Questo non è un accordo di pace, perché l’accordo di pace era quello tra Israele ed Egitto o Israele e Giordania, paesi che si erano intitolati la causa palestinese, che l’hanno fatta propria per ragioni storico-culturali. Israele ed Emirati hanno fatto un’intesa sulla normalizzazione dei rapporti. Ed è proprio in virtù di questa distanza dalla causa palestinese che negli anni si è venuta a creare (anche nella.politica estera emiratina), che Abu Dhabi ha creato gli spazi per avviare con Israele una convergenza di interessi tattici e strategici su più dossier”.

Aspetto apparentemente di forma, ma in realtà molto di sostanza per comprendere i risvolti di questa che è stata definita dai media di mezzo mondo un’intesa storica. “D’altronde – aggiunge Dentice – Israele vede negli Emirati una sorta di chiavistello per penetrare nel mondo arabo. Priorità raggiungibile meglio con gli emiratini che con egiziani o giordani (paesi della regione con cui Israele ha già rapporti diplomatici, ndr)”. Perché? “Perché nel caso di quei due paesi le relazioni sono viste quasi soltanto in funzione della pace fredda nel contesto israelo-palestinese e su dossier più limitati”.

Il tutto ha interessi anche di altro genere, chiaramente: per esempio, Israele riesce a sviluppare un rapporto ampio con un paese in forte crescita socio-economica su temi come l’information technology, e questi accordi sono altrettanto importanti per gli Emirati perché li aiuteranno nel quadro della diversificazione economica. Poi c’è il tema di sicurezza e intelligence.

“L’elemento di creazione dell’architettura di sicurezza con funzione anti-Iran attualmente sembra essere diventato un fattore di urgenza relativa”, spiega Dentice. I problemi politici interni all’Iran, le conseguenze economiche del coronavirus, le limitazioni commerciali a causa delle sanzioni e non ultima la costruzione di un fronte all’Onu – che va da Stati Uniti e Israele fino al mondo arabo – per richiedere la riconferma sull’embargo militare, hanno messo Teheran in serie difficoltà. Indebolita, nella pragmatica politica è percepita come un nemico perenne ma non urgente, tant’è che nei giorni scorsi i ministri degli Esteri emiratino e iraniano hanno – rarità – avuto una faccia a faccia in conference call.

“Quello che invece per il Golfo è prioritario – almeno in questo momento – è la Turchia, molto attivo in diversi ambiti della regione. E qui l’accordo aiuta Abu Dhabi a contenere iniziative turche e aiuta anche Israele; che è vero che guarda alla Turchia come potenziale partner economico, ma non sarà un partner politico in uno scenario in continua evoluzione come il Mediterraneo. Con l’intesa Israele si permetterà di controllare le spinte militariste turche attraverso il bilanciamento emiratino”.

Quali scenari in Medio Oriente dopo l'intesa Emirati-Israele? Parla Dentice (Ispi)

L’accordo tra Emirati Arabi Uniti e Israele è “un risultato politicamente rilevante per gli Stati Uniti. È un punto da cui partire per una riflessione più profonda, perché di fatto l’intesa marca un segno nei confronti della Cina e della Russia e conferma come la grand strategy Usa continui a guardare al Medio Oriente e ai suoi pilastri (partnership con…

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