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Pare essere opinione diffusa che gli Stati Uniti di Donald Trump e la Cina di Xi Jinping siano agli antipodi per quanto riguarda l’approccio all’economia. I primi nazionalisti, la seconda globalista. Basti pensare agli sforzi di Trump per riportare negli Stati Uniti le produzioni dall’Asia e al famoso discorso di Davos nel 2017 con cui Xi fu incoronato ultimo difensore della globalizzazione e dell’apertura dei mercati per creare un mondo più equo ed efficiente.

Ma dopo le parole ci sono i fatti. E così la Camera di commercio europea in Cina ha scoperto, attraverso il suo sondaggio sulla fiducia delle aziende diffuso oggi, che la metà degli intervistati (società europee che operano in Cina) è convinta che quest’anno le cosiddette “Soe” (“imprese a conduzione statale”) cinesi avranno maggiori opportunità di fare affari nel Paese rispetto al settore privato. Un dato in aumento di sette punti percentuali rispetto all’anno scorso. 

Ma non è tutto, anzi. Perché la rilevazione è stata condotta a febbraio, cioè il mese in cui gran parte della produzione cinese (soprattutto quella destinata all’esportazione nel Vecchio continente) si ferma per il capodanno e quando ancora il Covid-19 sembrava essere una questione tutta cinese. “L’epidemia Covid-19 probabilmente esacerberà ulteriormente questo problema visto che il governo ora si sta rivolgendo alle imprese a conduzione statale come strumento di stabilità in tempi incerti”, si legge nel rapporto.

Oltre al rallentamento degli affari già emerso per il 2019, le aziende europee devono ora fare i conti, infatti, con le conseguenze economiche del coronavirus. Tra i settori più in difficoltà, quelli logistico, chimico e petrolifero, edile e automobilistico. Inoltre, crescono diffusamente le preoccupazioni per la scarsa apertura della Cina verso le aziende straniere e i pochi progressi nelle riforme (quasi metà degli intervistati ha ancora difficoltà a interfacciarsi con il mercato cinese). Manca quella reciprocità a cui facevano riferimento anche un rapporto della Camera di gennaio (analizzato su Formiche.net) che raccontava le aziende europee come marginali e schiacciate dalle imprese statali cinesi: si parla allora di “ruoli di nicchia” e perfino di “impossibilità di accedere alle informazioni sulle gare di appalto”.

“La liberalizzazione incrementale ma insufficiente in alcune aree, unita al passo indietro sulla riforma delle Soe”, si legge nel documento pubblicato oggi, “rafforza la percezione di una divisione tra settori, con la Cina che si muove verso un modello ‘un’economia, due sistemi’: da un lato, le forze di mercato e moderni meccanismi regolatori appaiono sempre più internazionali; dall’altro, i settori critici dell’economia sono dominati da campioni nazionali nella mani dell Stato, mentre le imprese private sono nella migliore delle ipotesi soffocate o nella peggiore costrette ad abbandonare del tutto il mercato”.

Fare affari in Cina è diventato più difficile nell’ultimo anno per il 49% dei membri della Camera, con un calo di quattro punti percentuali dal 2019: “un miglioramento marginale”, nota il rapporto. “La Cina ha ora la forza e l’esperienza per diventare una forza trainante della ripresa globale, ma ciò comporta importanti responsabilità”, ha dichiarato Charlotte Roule, vicepresidente della Camera. “Le riforme del mercato interno non sono mai state più necessarie e la collaborazione con la comunità globale serve urgentemente per migliorare e rafforzare l’ordine basato sulle regole e guidato dai principi di reciprocità”.

Se Pechino per ripartire punta sulle imprese di Stato (e snobba quelle europee)

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