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C’è un filo rosso che collega il Venezuela, l’Italia e la Cina che si può vedere in controluce dietro le accuse del quotidiano spagnolo Abc al Movimento 5 Stelle?

Poco più di una settimana fa, in un discorso domenicale trasmesso dalla televisione di Stato, il presidente venezuelano Nicolás Maduro ringraziava Russia, Cina, Iran e Cuba, “veri amici” che hanno aiutato Caracas nell’emergenza Covid-19 (ma anche contro la sfida lanciata dal leader dell’opposizione Juan Guaidó). E l’ha fatto ricordando che gli Stati Uniti (secondo il presidente i registi del tentato golpe) avevano offerto aiuti per 20 milioni di dollari “ma non è arrivato un solo dollaro”.

Soltanto un mese fa su Formiche.net raccontavamo la mano tesa (l’ennesima) di Pechino a Caracas con tonnellate e tonnellate di aiuti contro l’epidemia. “La Cina non si è chiusa”, sosteneva il ministro per gli Affari esteri venezuelano Jorge Arreaza: “Si è aperta per condividere la sua esperienza, i successi e gli errori, le misure, la quarantena sociale, e questo attraverso l’Organizzazione mondiale per la sanità e i rapporti bilaterali. La Cina è stata la grande maestra su cosa fare in questo momento”.

Oltre un anno fa, invece, raccontavamo “La scommessa cinese in Venezuela” dopo che il governo di Pechino si era reso disponibile per offrire “aiuto e assistenza tecnica” al governo di Nicolás Maduro dopo il più grande e lungo blackout della storia del Paese. Ecco cosa scrivevamo allora.

Matt Ferchen, accademico del centro Carnegie-Tsinghua di Politiche Globali, ha spiegato alla Bbc che “il petrolio è il motivo fondamentale per cui la Cina e il Venezuela si sono unite. La Cina aveva bisogno di molto petrolio e il Venezuela ce l’aveva”. Dal 2007 al 2018, Pechino ha prestato al regime venezuelano più di 67 miliardi di dollari, secondo i report del centro di studio Dialogo Interamericano e l’Università di Boston.

Per questo la Cina rischia molto in Venezuela. E teme che un nuovo governo non garantisca i loro interessi e accordi economici. Un articolo del quotidiano americano The Wall Street Journal assicura che diplomatici cinesi e rappresentanti dell’opposizione venezuelana si sono incontrati a Washington per negoziare probabili “periodi di proroga” per i debiti.

Infine, la scommessa cinese in Venezuela rientra in un progetto più ampio di soft power e allargamento della leadership globale. Negli ultimi quattro anni il presidente Xi Jinping si è interessato al Sud America come fosse un cortile degli Stati Uniti.

Intanto il filo dell’oro nero resiste, anzi prospera. Come rivelato pochi giorni fa dalla Reuters, nonostante le sanzioni statunitensi sul Venezuela la Cina ha continuato ad acquistare greggio dal Paese sudamericano.  A tal punto che nel 2019 Pechino è diventato, scavalcando proprio Washington, primo acquirente del petrolio di Caracas.

Rimaniamo all’anno scorso. Precisamente a inizio febbraio. Come raccontava l’Huffington Post “l’Italia ha messo il veto sul riconoscimento di Guaidó come presidente ad interim del Venezuela, unico Stato tra i membri dell’Unione. 27 sì e 1 no nella votazione informale tra i ministri degli Esteri riuniti a Bucarest per decidere sul da farsi. Avevano trovato un accordo comune in seguito alla proposta svedese di procedere insieme. Mentre Germania, Francia, Spagna e Regno Unito lanciano un ultimatum al regime di Maduro la Grecia, che ha già preso le difese del presidente venezuelano, non si è opposta. L’Italia ha bloccato l’iniziativa che richiedeva l’unanimità”. Meno di due mesi più tardi l’Italia avrebbe firmato il memorandum d’intesa sulla Via della seta.

Ammettendo che il finanziamento rivelato da Abc sia una fake news, resta il dato politico. Ecco perché sorge un interrogativo: il veto sul riconoscimento di Guaidó è collegato in qualche modo alla firma di fine marzo? Quel che è certo è che la Cina sarebbe stata tra i principali Paesi colpiti da una mossa dell’Unione europea contro Maduro, che a inizio dell’anno scorso sembrano sul punto di cadere.

Un filo rosso collega Italia, Venezuela e Cina? Il caso del veto su Guaidó

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