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Il Paese non si governa in emergenza. Franco Frattini, magistrato, presidente di sezione del Consiglio di Stato, già ministro degli Esteri, suona un campanello d’allarme che arriva dritto a Palazzo Chigi: dai sussidi agli appalti pubblici, la fretta è una cattiva consigliera, e spesso va a braccetto con due ottime amiche, la corruzione e l’inefficienza. Il presidente si inserisce nel dibattito lanciato da Formiche.net sulla mission dell’Anac, l’authority fresca di un rinnovo dei vertici che sarà fondamentale per far sì che la ripresa post-pandemia corra sui binari della legalità. Ma parla anche dell’illusione di fare di tutta l’Italia un “modello Genova”, e della recente controversia del governo sui verbali del Comitato tecnico scientifico che lo ha visto protagonista.

Franco Frattini, l’Anac riparte da Giuseppe Busia, e tornano le polemiche sull’authority. Che bilancio fare di questi anni?

Costituire l’Anac è stata una scelta opportuna, non c’è dubbio. Tanti colleghi consiglieri di Stato, a partire dal presidente Patroni Griffi, all’epoca ministro, hanno compreso che un organismo del genere serviva al Paese. Io stesso ho avuto il piacere di presiedere la commissione speciale che diede il primo parere organico sul codice degli appalti.

Quel parere non fu esente da qualche rilievo critico…

Certo, c’erano aspetti da discutere, soprattutto in merito alle funzioni normative secondarie dell’authority. Poteva nascere la tentazione di fare dell’Anac un organismo che, attraverso raccomandazioni o circolari applicative, aggravasse il tessuto normativo invece che semplificarlo. Senza contare i dubbi sull’esistenza o meno di un giudizio ad hoc. L’esperienza di successo di Cantone ha evitato il moltiplicarsi dei contenziosi.

Quindi, promossa?

A mio parere sì. Non perché l’Anac sia un bene in sé, ma perché persegue maggiore efficienza e trasparenza. È uno strumento, non il fine, per combattere la corruzione, che è poi la mission di ogni istituzione pubblica.

Quali sono le priorità della gestione Busia?

Posso solo dire che i risultati dell’Anac si giudicano dalla capacità di migliorare l’efficienza del sistema pubblico attraverso la prevenzione della corruzione, che non è mai fine a se stessa. La sezione che presiedo al Consiglio di Stato si occupa di mafia. Il capitolo più importante alla base dello scioglimento dei comuni mafiosi è sempre la corruzione degli appalti.

Un anno fa, nel suo bilancio finale, Cantone disse che l’Anac ha avuto il merito di mostrare che la corruzione non si combatte solo con le manette. È così?

Sottoscrivo. Uno degli strumenti che abbiamo a disposizione nel settore di cui mi occupo sono le interdittive antimafia, permettono allo Stato di prevenire che la cosca mafiosa si insidi nel tessuto economico. Spesso l’ordine di custodia cautelare arriva quando il danno è fatto. Senza prevenzione il sistema Stato sarebbe più debole.

L’Anac è spesso stato criticato per andare oltre le competenze affidategli, anche dal mondo dei togati…

Fu anche questo uno dei rilievi che muovemmo all’epoca. Non a Cantone, ma alla norma che aveva conferito a un organismo amministrativo, ancorché indipendente, poteri di soft power normativo, rischiando di creare sovrapposizioni. Spiegammo che il codice avrebbe dovuto regolare e rendere più distinte queste funzioni normative dai veri e propri giudizi del giudice penale o amministrativo.

La corruzione si annida anche nelle maglie dell’iper-burocrazia. Questo governo ha fatto della semplificazione normativa una priorità. Eppure da Palazzo Spada è arrivato in questi giorni un sonoro stop al dl Semplificazioni.

La nota che il presidente Patroni Griffi ha inviato al Parlamento, in poche parole, dice: attenzione, le regole sugli appalti proteggono la parte che ha ragione. Bisogna evitare un pericolo: che si confonda la semplificazione con l’eliminazione di cautele e barriere. Non esiste solo la parte appellante, ma anche quella resistente, la stazione appaltante, i controinteressati.

Anche chi giudica ha bisogno di tutele…

Certo. Se devo valutare un appalto di decine di milioni di euro con motivazioni tecniche, decidere se un prodotto Tac a contrasto della ditta X è conforme o meno al capitolato, non posso farlo in poche righe, in sede cautelare. Che fine fa così la tutela delle altre parti? Chi ha perso ha interesse, e ha diritto, a una sentenza motivata.

Un monito è arrivato anche sul cosiddetto gold plating. Quando riceviamo le norme europee, invece che semplificarle, le aggraviamo.

A questo c’è una soluzione semplice. Il presidente Patroni Griffi ha fatto un’offerta pubblica. Noi come Consiglio di Stato possiamo redigere un testo che elimini i casi di gold plating, le duplicazioni. Possiamo farlo, è successo nel 2010 con il codice del processo amministrativo. Ma deve esserci una richiesta esplicita del Parlamento.

Frattini, si fa un gran parlare del “modello Genova”. Ora ci sono decine di miliardi di euro da spendere nelle infrastrutture. Può essere quello il modello da replicare?

Qui si corre un rischio da non sottovalutare. Il modello Genova è stato unico, gli occhi del mondo erano su quel procedimento amministrativo. I controlli incrociati sono stati costanti e, francamente, non sono facili da generalizzare. Il modello negoziato di certo non va scartato a prescindere, ma non dobbiamo neanche dimenticare che è lì che più facilmente si può annidare la corruzione.

Ultimamente lei si è occupato al Consiglio di Stato di un altro dossier caldo per il governo. Quei verbali del Comitato tecnico scientifico andavano pubblicati prima?

Facciamo chiarezza. Nessuno ha davvero mai creduto che il governo volesse mettere il segreto di Stato su quei documenti, anche perché avrebbe dovuto richiedere una conferma del Copasir. Quei verbali erano riservati, non segretati. Ho cercato di spiegare che, per la legge Foia (Freedom of information act) la trasparenza è la regola, la riservatezza l’eccezione.

E cosa le hanno risposto?

Mi colpì un passaggio della difesa dello Stato, in cui si affermava che il governo era libero di scegliere volontariamente non “se”, ma “quando” renderli disponibili. Evidentemente, se si trattava solo di tempistiche, non erano documenti segreti. Credo sia finita nel migliore dei modi.

È davvero finita? Mancano ancora diversi verbali.

Questo dipende dalle parti in causa. Il 10 settembre verrà chiamato quel giudizio, avremo la possibilità di ascoltare dalle parti se ci sono state eventuali carenze. Ovviamente, trattandosi di ricorso per l’accesso, ci sarà una sentenza.

Chiudiamo con il caso dei furbetti dell’Inps. A prescindere dalla vicenda morale, c’è stato o no un cortocircuito?

Più di uno. Una normativa così difficilmente applicabile lascia tante fessure in cui si possono infiltrare i “furbetti”. Nel caso specifico, la richiesta del bonus da parte dei parlamentari è il classico caso in cui la legalità formale si accompagna all’immoralità totale. Ma è solo l’ultima di tante falle del sistema.

Quali sono le altre?

Ricordiamo, ad esempio, i blocchi dei terminali per raccogliere le domande degli aspiranti aventi diritto. Quel che spettava alla gente disperata è arrivato solo qualche mese dopo. Questi sono i frutti di norme dettate dalla fretta dell’emergenza, senza pensare che l’Italia è un Paese di fantasiosi giuristi, che trovano facilmente il modo per aggirarle.

Ecco, l’emergenza. Può essere prorogata a tempo indeterminato?

Sarebbe meglio evitare. Le norme emergenziali sono una tentazione, bisogna porre dei limiti. Finita la fase acuta della pandemia, è bene tornare al diritto ordinario, e lavorare per renderlo più efficiente, senza sovrapporre Dpcm e decreti legge. Negli anni ’80 non abbiamo sconfitto i terroristi con le leggi emergenziali.

L'Anac, l'Inps e il virus dell'eterna emergenza. Parla Franco Frattini

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