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Avviso ai naviganti: per gli Stati Uniti di Donald Trump la Russia di Vladimir Putin è, e resta, in cima alla lista delle minacce alla sicurezza nazionale. Lo ha spiegato senza mezzi termini il segretario di Stato Usa Mike Pompeo durante la sua visita istituzionale a Roma, in conferenza stampa con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, quando ha parlato di “atteggiamento destabilizzante della Russia in Europa” e della necessità di “rendere il governo russo pienamente responsabile dell’avvelenamento di Alexei Navalny”.

Una sveglia che ha scosso chi, in Italia e non solo, pensa che si possa stare con un piede in due scarpe, lodando le gesta di Trump mentre si strizza un occhiolino al Cremlino. Una distorsione ottica frutto di una lettura un po’ frettolosa dell’amministrazione Usa, che fa del presidente e degli apparati che dettano le linee di policy un solo fascio.

Niente di più sbagliato. Dal Dipartimento di Stato a quello del commercio, dal National Security Council alla Cia, in questi anni non è mai venuto meno il pressing contro le interferenze dell’intelligence russa né è mai cessata la massima allerta sulle manovre militari di Mosca, dal Mediterraneo al Medio Oriente.

Una prova tangibile è nell’intervento che il vice-sottosegretario agli Affari europei ed eurasiatici Chris Robinson ha tenuto alla quinta edizione del “Forum transatlantico sulla Russia” del Centro Studi Americani questo venerdì, evento che ha visto la partecipazione, fra gli altri, di Gianni De Gennaro, Giulio Tremonti, Marta Dassù, Lapo Pistelli e Nicola Pedde.

“Invece che rispettare gli impegni con la comunità internazionale, assistiamo a un’escalation di comportamenti maligni da parte della Russia. Prima stringe accordi, poi li viola. Mina il lo stato di diritto internazionale, sfrutta i conflitti nazionali per guadagni economici”.

L’antifona parla da sé. Robinson è un diplomatico con 23 anni di carriera, una parte dei quali passati all’Ambasciata americana a Mosca, parla correntemente russo. A sentirlo, si ha l’impressione che i rapporti dell’Italia con la Cina non siano l’unico cruccio dell’alleato americano.

Anzi. “Dal Medio Oriente al Mediterraneo, la Russia continua a perseguire una diplomazia unilaterale”, dice. “Il presidente lo ha sempre detto chiaramente, dobbiamo cercare un migliore rapporto con la Russia, è nell’interesse degli Stati Uniti. Non è chiaro però se loro siano della stessa idea”.

Robinson prende ad esempio il caso della crisi in Libia. In Cirenaica, a poche miglia dalle coste italiane, preoccupa il caso del gruppo Wagner, la brigata di contractors russi a supporto del maresciallo Khalifa Haftar.

Fondato nel 2014 da Dmitriy Valeryevich Utkin, ex colonnello dello Spetsnaz, è da anni sotto sanzioni del Dipartimento di Stato per il suo coinvolgimento in azioni di sabotaggio e supporto militare nella guerra civile in Siria e nel Donbass.

“Il gruppo Wagner è un elemento di crescente preoccupazione, instabilità e insicurezza nella regione”. Altro che mercenari. “È uno strumento del governo russo, pensato per portare avanti gli obiettivi del governo, questo è chiarissimo. Ovvero lasciare un’impronta geostrategica in Libia per sfidare il fianco sud della Nato, e prendere il controllo delle piattaforme petrolifere”.

Le stesse preoccupazioni sono state riferite da Pompeo tanto a Di Maio quanto a Giuseppe Conte, a Palazzo Chigi, mercoledì scorso. Il premier, da parte sua, ha risposto spiegando che un maggiore impegno degli Stati Uniti e del comando Africom in Libia, come dimostra l’evoluzione delle ultime settimane, aiuta a limitare l’espansionismo russo e turco sul territorio.

“La Russia ha provocato un’escalation del conflitto – ribadisce Robinson – ha compromesso il processo di riconciliazione, chiuso la produzione di petrolio, che sta solo parzialmente riprendendo ma non nelle aree dove è presente il gruppo Wagner”.

Una condanna senza appello, non a caso pronunciata di fronte a un pubblico italiano, che apre uno spaccato sullo stato dei rapporti fra Russia e Stati Uniti al di là dei necessari e continuativi contatti fra leader.

Il dialogo c’è, ma è limitato a pochi spazi di cooperazione, con buona pace di chi parla di un nuovo “asse” fra Washington Dc e Mosca. Le distanze restano evidenti nelle parole del Consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien, che questo venerdì ha incontrato l’omologo russo Nikolai Patruschev a Ginevra. “Ho reso molto chiaro – ha tuonato il funzionario americano – che gli Stati Uniti non tollereranno alcuna interferenza maligna nelle nostre elezioni”.

Cara Italia, con la Russia non si scherza. Il monito del sottosegretario Usa Robinson

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