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Due anni fa, alla vigilia dell’ingresso di Cdp in Telecom, con il presidente nazionale di Confassociazioni, Angelo Deiana, su Il Foglio abbiamo chiesto l’istituzione di un Ministero per la Digitalizzazione proprio sull’esempio della Germania e della Francia, le cui Casse Depositi investono da anni nelle infrastrutture digitali.

La Grosse Koalition di Angela Merkel aveva appena istituito un Ministero per gli Affari Digitali, attribuendogli tutti i poteri per gestire e coordinare le risorse previste nel Piano nazionale della digitalizzazione con cui il governo tedesco prevedeva di attrarre investimenti pubblici e privati per 100 miliardi, con l’obiettivo di trasformare la Germania in una Gigabit society entro il 2025.

La nostra proposta voleva stimolare un percorso strutturato che avviasse anche in Italia la costruzione di un ecosistema positivo e dinamico di relazioni ed interconnessioni, attraverso un nuovo piano di sviluppo delle grandi opere infrastrutturali digitali con il relativo contributo degli eventuali concessionari.

In questi mesi tutti abbiamo capito che la digital trasformation sta impattando a livello globale assetti sociali, demografici, economici ed istituzionali. Le infrastrutture materiali e digitali giocano un ruolo decisivo per programmare la ripartenza del nostro Paese. Erano già prioritarie, ora diventano assolutamente necessarie per una nuova fase di sviluppo, nella quale lo smart-working che già molte imprese private facevano, energia alle imprese, produzione e nuove filiere industriali, diventano i driver del futuro.

Per dare attuazione ai richiami del Governatore di Bankitalia Visco, che nella sua relazione annuale ha evidenziato il valore strategico delle infrastrutture (“va recuperato il ritardo accumulato nelle infrastrutture: sia quelle tradizionali, da rinnovare e rendere funzionali, sia quelle ad alto contenuto innovativo, come le reti di telecomunicazione, necessarie per sostenere la trasformazione tecnologica della nostra economia… La rete fissa a banda larga copre meno di un quarto delle famiglie, contro il 60 per cento della media europea, con una penalizzazione particolarmente accentuata nel Mezzogiorno e nelle valutazioni della Commissione europea l’Italia è al diciannovesimo posto tra i paesi dell’Unione per grado di sviluppo delle connessioni”), è necessario evitare le distorsioni e gli errori del passato.

Nel prossimo decennio, infatti, gli investimenti in infrastrutture conosceranno nel mondo un dinamismo senza precedenti, sostenuto soprattutto dalla Cina. Sarà dunque fondamentale anche in Europa e in Italia ricominciare a investire, perché la competitività del mondo globale passerà sempre di più dalla capacità sviluppare le infrastrutture fisiche/digitali, velocizzando anche i processi amministrativi delle agevolazioni fiscali, dello snellimento dell’iter autorizzativo e della individuazione di partner economici qualificati.

Le infrastrutture svolgono un ruolo fondamentale per sostenere la mobilità dei cittadini e delle merci, sia a livello nazionale che europeo, in condizioni di crescente efficienza e di rispetto dell’ambiente, e sono essenziali per l’ammodernamento del sistema produttivo e per migliorare la qualità della vita in moltissimi ambiti, come ci ha ricordato proprio la relazione del Governatore Visco.

Le ingenti risorse del Recovery Plan della Ue saranno destinate in parte proprio alle infrastrutture, e per questa ragione va accelerata in Italia di concerto con le amministrazioni locali la fase di individuazione delle opere infrastrutturali attese dai territori, e definito il contesto regolamentatorio più snello e funzionale ad un’immediata cantierizzazione (l’imminente Decreto Semplificazioni dovrebbe andare proprio in questa direzione).

Un fattore più degli altri, però, sarà decisivo per colmare il gap infrastrutturale dei territori italiani: la responsabilità e l’autorevolezza della politica.

Il Governo, ma soprattutto le Regioni, i Comuni e gli enti locali devono avere la capacità di investire culturalmente sulle opere, intervenendo sul dialogo con le comunità, e imparando a comunicare ai territori il valore strategico delle infrastrutture.

Se non si riuscirà nella delicata operazione di detonare questa esasperata conflittualità che da quasi trenta anni caratterizza in tutti i territori italiani il rapporto tra la conservazione dell’ambiente e la realizzazione di nuovi investimenti (Tav e Tap sono solo gli esempi più eclatanti di centinaia di contestazioni sui territori e della cultura antindustriale che attraversa il Paese da Nord a Sud), l’Italia rischia di vanificare l’ultima grande buona occasione che viene dall’Europa.

Troppe volte abbiamo assistito negli ultimi anni ad opere ritenute strategiche dal MISE che sui territori si sono scontrate puntualmente con l’opposizione di comitati o movimenti sostenuti dagli amministratori locali, determinando contenziosi, ritardi e tensioni che oggi non possono più essere ammessi.

La globalizzazione post Covid-19 promuoverà le filiere industriali di prossimità solo se saranno in grado di maturare e favorire servizi efficienti. E le infrastrutture, anche nella nuova logistica integrata che avrà nel Mediterraneo come ha ricordato anche di recente il presidente Mattarella uno snodo essenziale nei traffici commerciali marittimi, sono il principale strumento di sviluppo e crescita.

A patto che questa volta Centro e Periferia provino a ragionare all’unisono, abbandonando per sempre l’ideologia del no e della decrescita, e offrendo al Paese quella visione nel futuro di cui tutti abbiamo bisogno.

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