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Procedere con la revoca della concessione ad Autostrade, mettere in dubbio la tenuta dell’esecutivo arrivando allo strappo con Italia Viva, ed esporre il Paese ad un contenzioso miliardario dagli effetti che ad oggi non possono essere valutati. Oppure chiedere al Movimento Cinque Stelle di fare un passo indietro, optare per la rinegoziazione dei contratti di concessione che dovranno questa volta considerare non solo l’abbassamento della redditività del concessionario, la sostenibilità economica degli investimenti previsti nel piano industriale, ma  chiarire anche quale saranno il ruolo e i compiti dello Stato come controllore.

Sulla vicenda Autostrade, Conte (e il Contismo) si giocano tutto nei prossimi giorni. Da una parte la risolutezza di una posizione che in qualche modo rende l’attuale presidente del Consiglio il successore naturale di Di Maio a capo del Movimento; dall’altro una posizione in apparenza più morbida, ma in realtà molto più sottile perché non solo compatterebbe la maggioranza, tenendo a bada le pulsioni populiste dei Cinque Stelle, ma sarebbe l’ennesima conferma di un Conte perfettamente in linea con il ruolo di insider di Palazzo, che media, smussa e prende decisioni che alla fine possono accontentare tutti. Un win-win che sarebbe sbagliato considerare e leggere come l’ennesima storia italiana di mediazione, nella quale se vincono tutti a perdere è la pubblica opinione e l’intera comunità.

Perché se dovesse prevalere la linea del sì alla revoca, avrebbe perso di credibilità tutto il sistema Italia: dallo Stato, che ha secretato i contratti di concessione per quasi venti anni e non ha assicurato i controlli; dall’azienda quotata in Borsa, che ha certamente commesso errori e inadempienze, come ha ammesso lo stesso Benetton nella lettera ai media; dalla pubblica opinione sulla quale penderebbe un contenzioso che potrebbe concludersi con un risarcimento monstre da dieci miliardi di euro.
Avrebbe perso di credibilità ancora una volta la politica, incapace di trovare soluzioni credibili e mediare tra interessi opposti, a tutto vantaggio anche in questa occasione della magistratura che, come nel caso del maxisequestro della Procura di Avellino dei viadotti autostradali sull’A14, dà la percezione evidente di supplire all’inazione proprio della politica.

L’auspicio che si arrivi ad un accordo tra Atlantia ed il governo, infatti, consentirebbe il proseguimento del regime concessorio per le autostrade, sistema che non pesa sulla colletività ed è la soluzione preferibile considerato che a causa dei vincoli di bilancio lo Stato non dispone di risorse significative da investire nelle infrastrutture. La mancata cancellazione dell’art. 35 dal Milleproroghe, che taglia gli indennizzi e trasferisce in caso di revoca almeno ipoteticamente la gestione delle autostrade ad Anas, è uno strumento di negoziazione con il quale il governo chiederà ad Atlantia di fare alcune azioni.

I nodi, oltre a quello della gestione delle infrastrutture, sono di tipo tariffario, legato al meccanismo di calcolo futuro, e quello connesso alla disponibilità a cedere il controllo di Aspi, manifestata in via ufficiale proprio da Palazzo Chigi e allo stesso ministro del Tesoro. Argomenti, questi, sui quali l’d di Atlantia Bertazzo, intervistato oggi da Il Messaggero, ha dimostrato disponibilità ed apertura, ammettendo gli errori commessi e analizzando lo sforzo che dovrà essere sostenuto per riconquistare la fiducia degli Italiani. Quella stessa reputazione che il Paese vedrebbe messa in discussione a livello internazionale se – a pochi mesi dalla vicenda Ilva – le regole venissero cambiate in corso d’opera ancora una volta.

Su Autostrade l'Italia si gioca la sua credibilità. L'analisi di Cianciotta

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