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Più di dazi e tariffe, più ancora del ventilato ritiro delle truppe americane, c’è un tubo di 1200 chilometri a solcare le distanze fra due Paesi un tempo alleati di ferro: Stati Uniti e Germania. Si chiama North Stream 2 e nelle prossime settimane può diventare il nuovo terreno di scontro transatlantico.

Il tratto del gasdotto russo-tedesco che presto raddoppierà il North Stream, inaugurato nel 2011, è lungo per la precisione 1230 chilometri (764 miglia) e attraverserà i fondali del Mar Baltico trasportando ogni anno circa 55 miliardi di metri cubi di gas.

Il gasdotto off-shore ha un costo stimato di circa 10.4 miliardi di dollari, per gran parte sostenuto dal gigante di Stato russo Gazprom Pjsc, insieme alla Royal Dutch Shell Plc, alla francese Engie, l’austriaca Omv, l’inglese Shell, le tedesche Uniper Se e Wintershall Ag.

L’affare è di primaria importanza geopolitica. Da tre anni la Casa Bianca mette in guardia la Germania dalla dipendenza politica dal Cremlino che il progetto si porta dietro.

Diverse le esternazioni di irritazione del presidente Donald Trump, già di per sé poco incline a tessere la tela dei rapporti con Berlino. Nel luglio 2018, a margine del summit Nato a Bruxelles, ha definito “molto inappropriato” l’impegno finanziario americano nell’alleanza alla luce del gasdotto russo. Più recentemente, ha detto che la Germania finirà “prigioniera” della Russia a causa del North Stream.

Fin qui, ordinaria amministrazione. Di nuovo c’è però che un gruppo bi-partisan di senatori americani adesso vuole rifilare a Berlino un nuovo, severo pacchetto di sanzioni per il gasdotto di Vladimir Putin (Ribattezzato “Protecting Europe’s Energy Security Clarification Act”) che, una volta in vigore, rischiano di ribaltare il tavolo delle trattative.

A nulla sono valsi gli appelli del governo tedesco nei giorni scorsi, né le condanne di una mossa che, secondo diversi esperti legali, violerebbe il diritto internazionale (come d’altronde buona parte delle sanzioni “secondarie”, strumento sempre un po’ border-line).

A legger fra le righe della bozza di decreto, il diametro di intervento è talmente ampio che, scrive Forbes, di fatto, “mette fuori gioco tutte le aziende europee per il resto del progetto, visto che ora anche le compagnie di assicurazione rischiano di finire sanzionate dal Tesoro”.

L’idea del drappello di senatori, capitanati da un falco repubblicano come Ted Cruz, non dispiace affatto a Trump, che nel recente comizio (flop) di Tulsa ha gettato benzina sul fuoco, attaccando la Germania di Angela Merkel che getta “miliardi” nelle casse di Putin. “Scusatemi, com’è che funziona?”, è la domanda retorica che ha rivolto il Tycoon alla folla fra risa di scherno.

Che effetto può avere la gragnuola di sanzioni in preparazione a Capitol Hill? Per capirlo, bisogna distinguere due tipi di impatto.

Il primo, quello economico, non è difficile da decifrare. Le misure contro il North Stream avrebbero l’effetto certo di mandare all’aria la road map stabilita fra Mosca e Berlino, scrive Bloomberg. Secondo i piani di Gazprom, il transito del gas dovrebbe iniziare per la fine del 2020 o, al più tardi, inizio 2021. Difficile rispettare queste scadenze con le sanzioni americane.

Le quali, peraltro, si aggiungerebbero alle non poche ostruzioni che il progetto russo ha incontrato negli ultimi due anni. Su tutte, il muro della Danimarca, tassello-chiave del puzzle, perché al completamento dell’opera mancano 120 chilometri di gasdotto attraverso le acque danesi.

Da dicembre tutto è bloccato: l’azienda svizzero-olandese Allseas ha sospeso i lavori per paura di incappare nel primo pacchetto di sanzioni americane. Lo stesso timore tiene sulle spine la Dea (Denmark Energy Agency), ora sotto pressione di una intensa attività di lobbying russa e tedesca per dare il via libera all’ultimo tratto.

Il secondo impatto si gioca tutto sul terreno politico. Dopo i dazi e le tariffe, il braccio di ferro sulla digital tax e sull’automotive tedesco, il ritiro delle truppe, una scure americana sul North Stream 2 può creare il precedente per un’escalation pericolosa fra Washington Dc e Berlino.

Una riunione della Commissione Affari Economici del Bundestag lo scorso 17 giugno ha avuto al centro una possibile risposta alle sanzioni Usa. Ora, scrive Forbes, la Merkel avrebbe intenzione di portare la questione sul tavolo di Bruxelles.

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