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L’Università italiana si apre all’innovazione. Una buona notizia, in un contesto non del tutto roseo, quello tecnologico, dove l’Italia sembra talvolta arrancare nonostante le grandi risorse – umane e strutturali – che possiede. L’Italia, infatti, è arrivata 24esima nell’ultimo Digital economy and society index (Desi), indicatore che misura le performance dei Paesi europei rispetto alla transizione verso il digitale. Un’autorete, insomma, per un’economia che avrebbe tutte le carte in regola per cavalcare la rivoluzione digitale. C’è da dire, però, volendo aprire una breccia nel tunnel “analogico” da cui sembra non si riesca (o non si voglia?) uscire, che nonostante il posizionamento negativo, il trend risulta leggermente in miglioramento. Tra il 2018 e il 2019, infatti, l’Italia ha conquistato un posto in classifica, partendo dalla 25sima posizione.

Risulta per questo di grande importanza l’accordo triennale siglato fra la Conferenza dei rettori delle Università italiane (Crui) e Ibm, una delle più strutturate e fra le maggiori imprese informatiche che operano nel nostro Paese. Obiettivo dell’intesa è consentire alle Università italiane l’accesso a servizi innovativi che consentano la realizzazione di nuove applicazioni cognitive a fini educativi, analitici e di ricerca. Accordo propizio in un momento in cui il mercato dell’occupazione appare in forte cambiamento, e si registra ancora un ampio gap fra le professioni del futuro (ormai del presente) e le competenze possedute dai giovani che si affacciano al mondo del lavoro.

Intelligenza artificiale e data analytics saranno dunque forniti da Ibm alle università italiane attraverso il cloud dell’azienda per sviluppare progetti di ricerca, creare prototipi e soluzioni a supporto di ricercatori e docenti e aiutare gli atenei a modernizzare le proprie applicazioni, valorizzare il proprio patrimonio informativo e creare nuove forme di interazione con studenti e partner. La collaborazione fornirà inoltre anche un supporto alle facoltà per allineare i profili professionali alle esigenze del mercato del lavoro, progettando e sviluppando corsi formativi su topic come, appunto, intelligenza artificiale e data analytics, rispondendo quindi alla richiesta sempre maggiore da parte degli studenti di poter interagire in maniera digitale con la propria Università.

“Il ruolo delle università nella trasformazione digitale del nostro Paese è cruciale dal punto di vista tanto della pianificazione, quanto della sua implementazione ai livelli più alti”, ha riferito Lucio D’Alessandro, vice presidente della Crui. “Un ruolo quindi duplice: da una parte, infatti – ha precisato – ogni passo avanti della tecnologia richiede considerazioni etiche e una cauta capacità di indirizzo, concetto ancora più stringente nel caso dell’intelligenza artificiale. Dall’altra, le università hanno la responsabilità di monitorare le esigenze del mercato del lavoro per fornire ai loro studenti le competenze necessarie per soddisfarle. Proprio per questo la Crui promuove accordi, come quello con Ibm, con partner tecnologici desiderosi di gettare le fondamenta di un futuro più giusto, specialmente per le nuove generazioni”, ha concluso D’Alessandro.

“Siamo onorati di questa partnership con la Crui, che ci permette di sostenere le università italiane nel loro processo di digitalizzazione”, ha poi aggiunto Francesco Stronati, vice presidente del Settore pubblico di Ibm Italia. “Con il cloud pubblico Ibm, le università potranno accedere a tecnologie innovative, come l’AI, per sviluppare servizi e corsi di formazione sempre più in linea con le esigenze del mercato del lavoro. L’innovazione, infatti, non può portare benefici a tutti noi senza un adeguato capitale umano e un ruolo di primo piano. Tutto questo a vantaggio della competitività del nostro Paese”.

Università e innovazione. Cosa prevede l'accordo fra Crui e Ibm

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