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“La Repubblica Islamica dell’Iran denuncia categoricamente l’incursione armata guidata dagli Stati Uniti in Venezuela. Lancia un appello a Washington per smettere di intromettersi negli affari interni delle nazioni sovrane, ora e per sempre. Grazie per la solidarietà, fratelli!”. Con queste parole pubblicate su Twitter, Jorge Arreaza, ministro per gli Affari esteri del Venezuela, ha celebrato il comunicato dell’Iran riguardo il presunto tentativo di invasione della scorsa settimana.

Nel comunicato, l’Iran rifiuta il piano di incursione armata, che considerano organizzata dagli Stati Uniti e dalla Colombia, insieme a gruppi di destra venezuelani. Secondo il governo di Teheran, il “fallito complotto terrorista guidato dagli Stati Uniti in Venezuela – si legge nel documento – ci ricorda come il regime americano sta vergognosamente ma ingenuamente intrappolato nella sua mentalità del XX secolo”.

La scena politica venezuelana resta sconvolta per il tentativo di “invasione via marittima” conosciuto come l’Operazione Gedeón, che è stato neutralizzato grazie all’unione delle forze militari, di polizia e la società civile del Paese sudamericano. Nell’operazione sono morte otto persone e altre 16 – tra cui due cittadini americani – sono state arrestate.

Maduro ha detto che i due americani riceveranno un “giusto processo” in Venezuela, mentre il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha avvertito che gli Stati Uniti userà tutti gli strumenti disponibili per il loro rimpatrio. Sia il capo della diplomazia americana, sia il presidente Donald Trump hanno detto di non avere partecipato all’operazione perché se l’avessero fatto l’esito sarebbe stato ben diverso.

In un articolo intitolato “Incursione in Venezuela: come un ex Green Beret (forze speciali americane, ndr) e un generale disertore hanno pianificato la cattura di Maduro”, il Washington Post descrive alcuni retroscena del piano. Uomini che erano in contatto con un veterano di guerra ed erano addestrati per un’incursione degli Usa in Venezuela, “un’operazione seria per cui valeva rischiare la vita […] Quello che seguì fu un’odissea a malapena credibile, un’operazione da sala degli specchi che si concluse il 3 maggio con Goudreau che annunciava una missione per rovesciare Maduro che era già fallita”.

Goudreau è cresciuto in una famiglia dell’alta borghesia del sobborgo di Calgary, in Canada. Intenso e competitivo, secondo le fonti consultate dal Washington Post è appassionato di videogiochi e film di kung fu. In un video pubblicato sui social, Goudreau ha detto di essere il leader del gruppo di ribelli in Venezuela con l’ex militare venezuelano Javier Nieto. Al quotidiano Goudrou ha anche dichiarato di avere coinvolto altri 60 uomini, tra cui due ex membri delle forze speciali americane: Luke Alexander Denman e Airan Berry. Come facciata Goudrou avrebbe usato l’impresa privata Silvercorp per gestire la pianificazione operativa.

La tv statale Venezolana de Televisión ha diffuso un video in cui Denman confessa – apparentemente – il piano per catturare Maduro e portarlo negli Usa. Nelle immagini si vede Denman che sembra essere interrogato da qualcuno e spiega che parte della missione era riuscire a fare entrare degli aerei, uno dei quali avrebbe portato Maduro in territorio americano. Su chi dettava ordini a Jordan Goudrou, Denman ha detto: il presidente Donald Trump.

In una trasmissione a reti unificate, Maduro ha sostenuto che i servizi dell’intelligence del Venezuela sapevano dei piani di invasione da molto tempo. Inizialmente, l’azione era prevista per il 10 marzo, ma dopo è stata posticipata perché secondo il leader del regime dipendeva dell’approvazione in diversi settori estremisti del Paese.

Tra gli arrestati, oltre Luke Alexander Denman e Airan Berry, ci sono anche l’ex capitano Antonio Sequea Torres e Adolfo Baduel, figlio dell’ex ministro della Difesa, Raúl Baduel.

Partendo dal caso venezuelano, la giornalista del Wall Street Journal, Mary Anastasia O’Grady, ha scritto un articolo su “Come le spie di Cuba continuano a vincere”.

“La debacle è demoralizzante per una nazione schiavizzata che soffre di terribili privazioni e brutale repressione – scrive O’Grady -. È anche un’opportunità per riflettere sulle capacità di guerra asimmetrica di Cuba e sulla raffinatezza del suo apparato di intelligence”, che sopravvive da oltre mezzo secolo, e ora conta sul sostegno di alleati come Russia, Iran e Cina.

Per l’esperta di America Latina, “molti venezuelani ora concludono che le talpe cubane sono ovunque ed è troppo rischioso fidarsi in chiunque. Questa è la chiave della strategia di controllo dell’Avana in Venezuela”.

L’ultimo rebus del Venezuela: gli intrighi dell’Operazione Gedeón

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