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Donald Trump è il terzo presidente della storia americana a finire sotto procedura di impeachment. La Camera degli Stati Uniti ha votato per la sua messa in stato di accusa secondo i due capi di imputazione che i Democratici avevano avanzato: abuso di potere e ostruzione al Congresso. La vicenda è nota, Trump avrebbe chiesto all’omologo ucraino di aprire un’indagine sul conto del suo principale rivale alle elezioni presidenziali del prossimo anno, il Dem Joe Biden, in cambio di una fornitura di aiuti militari che Kiev avrebbe potuto spendere contro l’aggressione dei ribelli filo-russi nel Donbas. Un quid pro quo che il presidente ha sempre negato, ma su cui ha bloccato (o provato a) le testimonianze di alcuni attori chiave davanti alle commissioni congressuali che su impulso democratico hanno portato avanti l’indagine — mentre alcune testimonianze hanno mostrato che una richiesta di scambio probabilmente c’è stata.

Quello di qualche ora fa è stato però un voto politico. La notizia non è infatti tanto la messa in stato di impeachment, assolutamente attesa come arma d’attacco dei Democratici (che hanno la maggioranza alla Camera), quanto la tenuta dei Repubblicani — un partito che ha un establishment non appiattito sulle posizioni del presidente e che ancora vede Trump come un elemento a sé (e viceversa, sebbene Trump sia lo specchio della base, del Paese reale statunitense). L’iter a questo punto è destinato sgretolarsi al Senato, dove la procedura dovrebbe trovare la maggioranza composita dei due terzi della camera alta. Ed è del tutto improbabile che i senatori repubblicani concedano l’assenso ai rivali Dem. anche per il timing: tra meno di un anno si vota e non si vogliono scegliere strade rischiose. Attesa dunque la stessa sorte toccata ai due illustri predecessori, Andrew Johnson nel lontano 1868 e Bill Clinton nel 1998: tutti e due assolti dal Senato.

Il dibattito è avvelenato, il voto sull’impeachment non solo dà il segno di come i due partiti americani siano separati, ma le dichiarazioni di voto sono sembrate dipingere due universi paralleli. I Repubblicani accusano i rivali di aver politicizzato l’esercizio massimo dei check & balances su cui la democrazia americana di basa — la possibilità del Congresso di portare a giudizio interno il commander-in-chief. I Democratici altrettanto, si dipingono come patrioti, contestano aspramente al presidente di aver scambiato necessità personali (trovare il modo di infangare la reputazione di Biden) con un interesse strategico dell’America (aiutare l’Ucraina, ossia contenere la Russia). I toni toccano a tratti il clamoroso: il deputato repubblicano della Georgia Barry Loudermilk nel suo intervento dice che Pilato si comporto meglio con Gesù di come i Democratici stanno trattando Trump.

La speaker Nancy Pelosi — che per lungo tempo ha cercato di arginare l’ondata interna ai democratici che voleva portare Trump sotto accusa, ma poi ha ceduto intestandosi la pratica — ha alzato ulteriormente il livello dello scontro. Ha annunciato che visto la non imparzialità” del Senato, i due articoli dell’impeachment non saranno trasmessi finché Mitch McConnell — leader della maggioranza Rep — non garantirà un giusto iter procedurale permettendo un’indagine approfondita. Ma d’altronde i toni erano già esacerbati nella lettera con cui giorni fa il presidente accusava la leader democratica di portare avanti “un fazioso e illegale colpo di stato” dichiarando “guerra aperta alla democrazia” — risposta di Pelosi: la lettera è “ridicola e patetica”.

Trump ha saputo la notizia in Michigan, durante un rally elettorale, in mezzo una folla urlante “4-more-years”. “Non abbiamo fatto nulla di sbagliato. Abbiamo l’appoggio del Partito Repubblicano”, ha detto: “Dopo tre anni di caccia alle streghe (come lui chiama il Russiagate, ndr), bufale, vergogne, truffe, i democratici stasera stanno cercando di annullare il voto di decine di milioni di patrioti americani”, ha urlato, mentre rigirava l’accuso di “abuso di potere” ai suoi oppositori. “Questo è il primo impeachment dove non c’è un reato”, e perciò porterà i Dem a un “suicidio politico”. Molto importanti le varie sottolineature sull’unità del partito che rappresenta: “Non abbiamo perso neanche un voto dei repubblicani e tre democratici hanno votato con noi”.

Se il voto fosse stato meno omogeneo allora ci si poteva aspettare anche qualche sorpresa al Senato, ma così non pare. Altro dato rilevante: in questa settimana in cui lo scontato voto della Camera si avvicinava, Gallup ha fatto segnare l’aumento di sei punti nell’approval presidenziale. L’impeachment è moscio, non muove consensi se non tra i due lati polarizzati dello schieramento politico. Se qualcuno pensava che potesse essere la carta vincente per le prossime elezioni, probabilmente ha sbagliato previsioni. Il voto degli indecisi con ogni probabilità non sarà risolto o legato dalla procedura in corso.

Trump è sotto impeachment. Ma i Repubblicani alla Camera tengono l’onda d’urto Dem

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