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L’emergenza coronavirus arriva in uno dei momenti peggiori per l’economia cinese: il rallentamento economico è evidente, il mercato interno appare sempre meno vivace e incapace di spingere la crescita. I dazi statunitensi, decretati durante la cosiddetta guerra commerciale tra i due Paesi, hanno severamente colpito l’industria cinese, limitando la proiezione nel principale mercato mondiale. I primi passi verso la distensione nella contesa commerciale tra le prime due economie del mondo, sancita dall’accordo firmato tra Usa e Repubblica popolare cinese il 15 gennaio 2020, sono arrivati appena pochi giorni prima dell’esplosione del coronavirus.

Appare chiaro sin da subito che le conseguenze economiche di breve termine per la Cina saranno serie, i prezzi delle azioni delle principali società cinesi stanno rapidamente scendendo nelle borse mondiali. Un effetto dovuto principalmente alla strategia comunicativa del governo cinese, seguita dalle principali aziende del Paese, negli ultimi anni.

Chi investe su Alibaba oggi scommette innanzitutto sul futuro del Sistema Cina, l’identificazione tra le principali società e l’economia del Paese è sempre più forte. Una dinamica fortemente voluta dalla stesse aziende e promossa dallo stesso apparato cinese. L’epidemia non è paragonabile a una catastrofe naturale ma si tratta di un evento che colpisce direttamente il cuore del Paese che allo stesso tempo impone un quesito sul ruolo della Cina nei prossimi decenni.

In questi giorni le strutture sanitarie cinesi, le capacità di attivare una risposta rapida e concreta e l’affidabilità stessa dell’apparato statale sono in discussione. Le conseguenze di questi eventi sulla proiezione economica del paese nel breve e medio termine sono facilmente prevedibili. Durante l’epidemia della Sars nel 2003 l’economia cinese ha subito degli analoghi ribassi ma dopo aver mostrato segnali preoccupanti, con la crescita delle vendite al minimo del 4,3 per cento nel primo trimestre dopo l’epidemia gli indicatori registrarono una crescita al 9,7 per cento nel terzo trimestre.

Anche il trasposto passeggeri diminuì notevolmente, passando dal 42% al 22% nei mesi dello scoppio della Sars per poi tornare alla normalità dopo 4 mesi. L’interconnessione sempre maggiore delle economie globali, rispetto al quadro ai tempi della Sars, potrà determinare delle conseguenze diverse, con effetti più profondi. La quota della Cina sul Pil globale è quadruplicata dal 2003 e l’economia mondiale è sempre più collegata a quanto succede nella Rpc. Quindi le conseguenze di una crisi perdurante potrebbero essere gravi per l’economia mondiale.

Tuttavia un’analisi delle conseguenze nel medio e lungo termine è prematura, visto che l’emergenza è ancora in atto e bisognerà attendere gli sviluppi delle prossime settimane per comprendere la reale portata dell’epidemia e le conseguenze economiche e geostrategiche. Certo Pechino dovrà necessariamente avviare un inevitabile processo di “ripiegamento” sulle dinamiche interne. La presenza cinese nell’economia globale sarà depotenziata e la stessa proiezione nella politica mondiale verrà limitata.

Le esigenze primarie di Pechino saranno dirette all’opinione pubblica interna, che proprio in questi giorni particolarmente attraverso la blogosfera sta dimostrando di essere molto lontana dal blocco monolitico in supporto del governo usualmente descritta dalla stampa occidentale.

All’interno della contesa economica tra Stati Uniti e Cina l’emergenza legata al coronavirus potrebbe far pendere la bilancia a favore di Washington. Negli ultimi due anni Pechino si è spesso schierata al fianco di potenze che si ponevano in contrapposizione agli Stati Uniti. Dall’Iran alla Russia alla Turchia l’assertiva posizione cinese ha disegnato un possibile asse alternativo, un progetto mai realmente compiuto ma solamente accennato. Un’opzione possibile, ma non determinata, che ha soprattutto supportato idealmente il disegno cinese di proiezione nei paesi in via di sviluppo, dalla Obor (One belt one road) ai progetti in terra africana sino agli aiuti in America Latina.

Il test di prova del coronavirus ora riguarda direttamente la credibilità di Pechino, non sarà più possibile “scaricare” la responsabilità sui amministratori locali come avvenuto per altri casi simili. L’accentramento realizzato da Xi Jinping ha determinato una rinnovata responsabilità diretta della leadership del Partito Comunista cinese in tutto gli eventi sul territorio. La presenza a Wuhan di Li Keqiang, attuale Primo ministro della Repubblica popolare cinese (Rpc), non è un caso. Pechino sa di dover rispondere in prima persona degli sviluppi dell’epidemia. Tutto dipenderà dall’evoluzione e dall’efficacia nel contenimento del virus ma soprattutto sarà cruciale la narrazione che verrà costruita attorno alla battaglia contro il coronavirus.

La situazione a Hong Kong rimane poi un altro tema importante, i manifestanti stanno chiedendo a gran voce di isolare sempre più la città-Stato dalla Cina. Una proposta ragionevole, in prospettiva sanitaria, ma assolutamente contraria alla visione politica di Pechino. Anche qui un’ulteriore diffusione del virus in altre regioni della Rpc potrebbe comportare una spinta autonomistica sempre più marcata dei cittadini di Hong Kong. La matrice etnica della protesta di Hong Kong si sta rafforzando anche attraverso una differenziazione sempre più visibile dell’identità cantonese. Le richieste di chiusura dei confini con la Rpc hanno anche un evidente significato implicito, la capacità di Pechino di risolvere in tempi brevi l’emergenza sarà quindi cruciale anche per il futuro dell’ex colonia britannica.

La partita geopolitica di Pechino all’interno delle organizzazioni internazionali è invece stata sinora pienamente confermata. Dall’Organizzazione mondiale della sanità all’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile tutte le strutture internazionali direttamente coinvolte nell’emergenza stanno supportando gli sforzi del governo cinese. Avallando la narrazione di un Paese che sta reagendo in maniera efficace a una catastrofe imprevedibile. Una dinamica per niente scontata che dimostra le solide relazioni che Pechino ha saputo costruire all’interno delle organizzazioni internazionali in questo decennio.

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