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Una ricerca ormai classica della politologia sui nuovi movimenti sociali (Della Porta e Diani, Social Movements, 1999) sostiene che sia rilevante occuparsi più delle modalità di azione di questi nuovi soggetti, che delle composizione socio-demografica degli individui che li compongono. In questo senso, l’analisi dell’azione collettiva di questi soggetti ci aiuta a rispondere agli interrogativi sulle capacità di portare in piazza la protesta, da un lato, e, dall’altro, di dotarsi di una organizzazione che ne rifletta l’identità, che individui una strategia per inserire nell’agenda collettiva le cause ritenute rilevanti e che sia in grado di organizzare piattaforme con altri gruppi per il conseguimento degli obiettivi prefissati. Le Sardine sono state, finora, oggetto di analisi più rivolte alla composizione del movimento (con la spasmodica ricerca di un leader da mediatizzare).

Occorre invece considerare che il nuovo movimento sta terminando l’esperienza di protesta pubblica, con l’avvicinarsi della data delle elezioni in Emilia Romagna e con la programmazione di un flash mob di fine campagna elettorale al Papeete. Un luogo simbolo della politica salviniana nell’estate del 2019, che, nelle intenzioni delle Sardine dovrebbe essere dirottato mediaticamente dalla presenza del movimento che più di tutti si oppone a Salvini, quasi a segnalare la caducità di certi fenomeni politico-mediatici, come la centralità di una discoteca nel discorso pubblico. Una strategia di protesta più mediatica che politica, con una buona copertura social e mainstream dell’iniziativa, ma senza alcuna garanzia in termini di esito elettorale alle regionali emiliano-romagnole. Anzi, il rischio di cadere nel meccanismo denunciato da Lakoff in “Non pensare all’elefante” è davvero forte, in termini politici: usando un luogo simbolo dell’avversario politico si finisce per evocarne le stesse idee, con un effetto di rafforzamento, anziché di opposizione.

Così, resta da valutare il secondo elemento rilevante dell’azione collettiva delle Sardine: la capacità di valorizzare la cause su cui concentrarsi e costruire la propria identità, organizzarsi, dotarsi di una piattaforma programmatica e creare coalizioni con altri soggetti collettivi. A questa prova le Sardine sono attese il prossimo 8 marzo, data della prima assemblea nazionale. In questo caso, tuttavia, la scelta della data (e non del luogo) non sembra particolarmente oculata: l’8 marzo è un’occasione simbolica centrale per tutti i movimenti femminili, che difficilmente rinunceranno alle proprie iniziative per dedicarsi alla costruzione delle prossime strategie, piattaforme e azioni delle Sardine.

Così resta da vedere che cosa emergerà da tale prima iniziativa di coordinamento nazionale, per verificare se le Sardine saranno in grado di segnalare ulteriormente il proprio disallineamento rispetto all’offerta dei partiti politici (o se riterranno, piuttosto, utile provare a sperimentare formati di associazione con alcuni soggetti partitici), se saranno capaci di sperimentare formati innovativi di partecipazione dal basso e se saranno in grado di mettere a punto un modello simbolico di mutamento, anche rispetto all’attuale offerta di movimenti collettivi. L’assemblea dell’8 marzo si qualificherà, in altre parole, come il primo vero banco di prova per valutare se, oltre alla strategia di catalizzazione della protesta mediatica, le Sardine sanno nuotare nel mare aperto della politica e possono diventare qualcosa di più e di nuovo nel panorama dell’offerta politica italiana.

Dal Papeete all'8 marzo. Le Sardine alla prova del mare aperto

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