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Quello degli affitti brevi è senza dubbio uno dei trend attualmente più forti sul mercato immobiliare. Il fenomeno, registrato negli ultimi anni, è stato innescato dalla portata dirompente dell’innovazione tecnologica, in costante evoluzione, e ampiamente facilitato dal boom della sharing economy, che ha toccato un po’ tutti i settori della nostra economia. Ma quali sono i limiti e quali le opportunità di questa tendenza? Ne abbiamo parlato con Giulio Santagata, economista, già ministro per l’Attuazione del programma di governo e consigliere economico a Palazzo Chigi.

Ha riscontrato, nel passato recente, un aumento dei prezzi di compravendita o di locazione?

Prendendo spunto dall’Osservatorio che Nomisma ha e produce da decenni, possiamo dire con una certa consapevolezza che il mercato della compravendita, in base alle medie nazionali, è ancora in leggero calo. Sulle locazioni, invece, la contrazione – abbastanza sensibile nel cuore della crisi – si è fermata.

Quali sono le conseguenze di questo trend?

Intanto, testimoniano una difficoltà strutturale che il nostro Paese ha, privo di un patrimonio pubblico rilevante che possa fungere da motore trainante per il mercato. Sono due le tipologie di soggetto che si rivolgono al mercato dell’affitto, molto diverse tra loro. La prima riguarda colui il quale non possiede risorse sufficienti per accedere all’acquisto di una casa, e che quindi è costretto a riversarsi sull’affitto; la seconda invece comprende tutti quei soggetti coinvolti dai cambiamenti sociali e della popolazione. Osserviamo, negli ultimi anni, un moltiplicarsi di famiglie mono-personali o bi-personali per effetto delle separazioni e della mobilità territoriale, quest’ultima quasi sempre lavorativa, che per ovvie ragioni non hanno né modo né ragione di acquistare una casa di proprietà. Mentre, però, il secondo segmento può spingere verso l’alto il livello del canone, il primo gruppo lo mantiene stabile, perché sarebbe incapace di pagare un prezzo più alto di quello che già paga. Sarebbe utile, forse, in tal senso, una buona politica nazionale che affronti l’aspetto sociale della questione.

Cos’altro può fare la politica in questo ambito?

Non è semplice intervenire nemmeno per la politica. Abbiamo accumulato per decenni un notevole deficit pensando che le famiglie italiane volessero solo la casa di proprietà. Abbiamo trascurato troppo, insomma, il valore – anche sociale – della casa in affitto. Quello che potrebbe fare lo Stato, oggi, per non lasciare alla speculazione le centinaia di migliaia di alloggi di quelle famiglie che non sono più in grado di pagare il mutuo, è trasformare questi alloggi in un nuovo stock di case pubbliche, ma è un procedimento veramente complesso anche solo da spiegare, ancor più da realizzare.

Lei ritiene che la crescita degli affitti brevi registrata in questi anni abbia influito su tutte queste dinamiche?

Sicuramente il fenomeno ha una sua rilevanza e una sua dinamica vivace. La domanda che dovremmo porci è se questo fenomeno sta spostando i proprietari che affittavano nel lungo periodo verso l’affitto breve, o se invece sta convincendo i proprietari di alloggi sfitti a destinarli al fitto. È ovvio che in questo secondo caso, i vantaggi per le entrate pubbliche sarebbero notevoli: in Italia le case sfitte sono decine di migliaia, rappresentando potenziali fonti di ricchezza non sfruttate. Quindi dobbiamo chiederci perché un proprietario preferisca mantenere un alloggio vuoto piuttosto che affittarlo e se le dinamica degli affitti brevi possa dissuaderlo, generando ricadute positive sull’economia dell’intero sistema-Paese.

Quindi non è un luogo comune che in Italia i proprietari di case non affittano per paura di perdere il controllo sul proprio bene immobile?

No, anzi. Sembrerebbe infatti che la scelta di optare per un affitto breve piuttosto che per un affitto lungo sia prevalentemente legato a questa logica, piuttosto che a una dinamica di prezzo.

Ma al momento la situazione del patrimonio immobile nazionale qual è?

Ad oggi ci sono ancora centinaia di migliaia di immobili inutilizzati, nonostante l’Italia rappresenti uno dei Paesi con più case di proprietà in Europa.

Può farci un esempio, numeri alla mano?

Parliamo di Bologna. Il capoluogo emiliano registra ad oggi 14mila appartamenti sfitti. Certo, in questi rientrano anche gli immobili affittati in nero, ma pur ammettendo che questi ultimi compongano la metà del totale (e non è così), ne rimarrebbero comunque 7mila che potrebbero produrre ricchezza e non lo fanno.

Come si potrebbe spiegare ai proprietari che questa possibilità rappresenta una risorsa utile, andando anche a risolvere uno dei timori maggiori degli italiani, e cioè la perdita del “controllo” sull’immobile? Le istituzioni potrebbero o dovrebbero fare qualcosa?

A pelle penso che le istituzioni difficilmente interverranno in tal senso. Spesso preferiscono puntare il dito contro gli affitti brevi piuttosto che promuovere tutte quelle opportunità e sinergie che possono dare un boost al sistema-Paese. Non vedo, insomma, un’azione possibile in capo alle istituzioni se non, forse, una maggiore trasparenza nei dati, ad esempio condividendo con i cittadini quanto rende un affitto breve rispetto a un affitto lungo. Ma ritengo, data la situazione attuale, più probabile ed efficace aspettarsi un’azione del genere dalle piattaforme che forniscono questo servizio.

Quali policy per gli affitti 2.0. Parla Giulio Santagata

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