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Mentre tutti si concentrano sullo scontro al calor bianco tra Conte e Salvini (figlio di un rapporto personale interrotto bruscamente in estate ed assai difficile da ricostruire) la vicenda del Mes presenta un aspetto politico di estrema rilevanza che tutti tendono (sbagliando) a trascurare, aspetto tutto interno alla maggioranza giallo-rossa e intimamente legato ai risvolti internazionali di questa storia complessa e lontana dall’essere sistemata.

Per comprenderlo occorre un passo indietro nel tempo (di qualche mese) e uno di lato, per arrivare a Bruxelles. Dobbiamo infatti collocarci nel quartier generale dell’Unione europea tra giugno e settembre, quando accadono tre fatti straordinari per la sinistra italiana, in grado di cambiare il corso politico delle cose. I fatti sono l’elezione di David Sassoli a presidente del Parlamento europeo (il primo esponente della sinistra italiana ad arrivare a quell’incarico), l’approdo di Roberto Gualtieri al Mef con la nascita del secondo governo Conte (il più “europeo” dei dirigenti Pd vicini a Zingaretti) e la scelta da parte dell’Italia di Paolo Gentiloni per l’incarico di Commissario Europeo (un ex premier, quindi scelta politica di peso “massimo”).

Tre fatti figli di una stagione turbolenta, ma tre indiscutibili vittorie del Pd in versione Zingaretti, che così segna il campo di gara precisando a tutti di essere l’unico, vero, credibile interlocutore italiano per il sistema politico ed istituzionale dell’Europa. Insomma un Pd in profonda sintonia con Bruxelles (non era così con Renzi), un Pd che in questo cerca la più assoluta discontinuità rispetto alla destra di Salvini e Meloni. Adesso volgiamo lo sguardo verso l’alleato di governo del PD, cioè il movimento a cinque stelle guidato da Di Maio (con Grillo che gli sta sul collo).

Il M5S (o per meglio dire il suo capo politico, cioè Di Maio) decide di aprire il fronte Mes a pochi giorni dal summit europeo che dovrebbe sancirne le modifiche con il consenso dell’Italia, summit che arriva dopo 18 mesi di trattative. Lo fa scegliendo una linea che sembra più in sintonia con Salvini che con la maggioranza di governo, ma, soprattutto, lo fa colpendo il Pd nel punto più “sacro” dei suoi nuovi assetti, cioè il rapporto con l’Europa. I distinguo a cinque stelle sono cioè una micidiale minaccia per la credibilità internazionale del segretario Zingaretti e, al tempo stesso, aprono un problema via l’altro per la quotidianità di Sassoli, Gualtieri e Gentiloni, costretti sulla difensiva con tutti i più importanti interlocutori della giornata.

Per questo deve esse chiaro il punto politico più importante di tutta questa storia, che va ben al di là del dibattito sul nuovo Mes (strumento utile all’Italia e ormai sostanzialmente definito in tutti gli aspetti rilevanti): il M5S sta colpendo al cuore il senso stesso dell’accordo di fine agosto, mettendo in seria difficoltà il Pd sull’unico fronte realmente “intoccabile”, cioè quello Ue. Le cose stanno così, basta saperlo.

Sul Mes il M5S spara al cuore del Pd

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