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Giancarlo Giorgetti ha alzato la palla e ha fatto tremare lo stagno del centrodestra. Parlando al suo schieramento allo scopo di farsi sentire dall’altro, ha fatto una proposta semplice semplice. In sostanza ha detto: davanti all’immobilismo del governo, perché non si prende l’iniziativa di una mini-Costituente, coinvolgendo anche la maggioranza, per varare qualche riformetta piuttosto urgente e soprattutto la legge elettorale? In tal modo si metterebbe fine a questa inutile legislatura e il prossimo Parlamento, pienamente legittimato, eleggerebbe anche il Presidente della Repubblica.

Il discorso, in estrema sintesi, non fa una piega. È di buon senso e capace di attrarre anche gli avversari che di Conte e compagnia cantante non ne possono più. Lo stesso Movimento Cinque Stelle potrebbe essere interessato alla proposta pur di togliersi di torno Di Maio e i suoi che lo stanno affossando giorno dopo giorno. Insomma, una salutare iniezione di energia politica alla quale il numero due leghista guarda con grande interesse. E se si è spinto al punto di lanciare tanto in alto la proposta vuol dire che è d’accordo anche Salvini al quale, con tutta evidenza, il ruolo del predicatore inascoltato nel deserto comincia ad andargli piuttosto stretto.

Il movimentismo leghista ha poi un altro fine. Quello di dimostrare la sua esistenza in vita, politicamente parlando, ben al di là dei confortanti e confortevoli numeri elettorali,  su cui costruire la leadership del futuro. Non basta più menarsela con l’immigrazione e se perfino il “sovranismo” è stato intelligentemente e opportunamente riposto tra le anticaglie inservibili, è forse il caso che la dimensione leghista si apra ad altri scenari i quali contemplano l’inclusione invece della esclusione praticata nella fase pre-Papeete. Per esempio cogliere l’occasione che le è stata offerta da Forza Italia di avvicinarsi al Ppe. Non sarebbe un tradimento, ma un modo per accostarsi alla “grande politica” europea abbandonando il tristanzuolo ambito post-sovranista dove non si muove niente dopo il flop delle Europee.

L’operazione è di quelle da triplo salto carpiato all’indietro e non è detto che riesca senza rischiare l’osso del collo. Tuttavia Salvini non sembra alieno dal tentare l’audace colpo avendo realizzato che se rimane relegato nella nicchia nazionale, difficilmente, il giorno in cui dovesse assumere il potere vincendo le elezioni, verrebbe accettato dalla compagnia di giro comunitaria.

Un conto è la propaganda, un altro il realismo. Se la Lega vuol far parte organicamente del centrodestra, rinunciando alla corsa in solitaria, non può che avvicinarsi ai Popolari europei, adottando nella fattispecie il “modello Orban”. Un po’ dentro per non essere attaccato da fuori; un po’ fuori per non apparire come il guastatore del folcloristico sovranismo.

C’è una prospettiva conservatrice, dopotutto, che Berlusconi sta prospettando a Salvini, che se dovesse andare in porto avrebbe la possibilità il leader leghista di “vendersela” in Europa come un atto di responsabile resipiscenza lasciando sullo sfondo le battaglie populiste e dedicandosi ai problemi che non mancano.

Certo non si potrebbe pretendere che da un giorno all’altro Salvini diventi un tifoso di Ursula von der Leyen, ma allora Giorgetti che ci sta a fare? Ecco il piano, dunque.

L’ex-sottosegretario, cervello finissimo, appronta il tavolo al quale dovrebbero sedersi tutti (tranne Di Maio, Conte, Fico e l’ormai perduto alla causa Di Battista), piddini compresi, per dare un segnale di disponibilità ad intervenire sulle grandi questioni del momento. Nello stesso tempo, Berlusconi, dall’alto della sua autorevole presenza nel Ppe, dovrebbe avallare in Europa il nuovo corso leghista con l’argomento che una fortissima Lega alleata garantirebbe la governabilità del Parlamento e della Commissione che non navigano mari tranquilli al momento.

Se dovesse riuscire l’operazione, ad elezioni anticipate avvenute e a vittoria conseguita, nessuno più a Bruxelles, Strasburgo e Francoforte si opporrebbe a Salvini rendendogli la vita difficile a Palazzo Chigi.

È vero che la situazione politica è bloccata, ma Salvini sa che un suo atto di coraggio potrebbe mettere in moto una macchina inceppata. Non è detto che la convivenza tra Pd e M5S debba protrarsi più a lungo delle regionali in Emilia Romagna e in Calabria e nessuno giura sulla resistenza del Nazareno agli affondi di Renzi: tanto vale mandare tutto all’aria e togliersi il “toscanello” dai paraggi. Forza Italia è tutt’altro che disinteressata all’affare: slegare la legislatura legando lo scioglimento delle Camere all’attivismo della Lega bloccherebbe il tentativo della Carfagna (e di altri) di destabilizzare quel che resta del partito del Cavaliere.

Insomma, convincendo Daul, gran capo dei Popolari, ad accogliere nel salotto buono del Ppe Salvini in giacca e cravatta (ormai la felpa non l’indossa neppure più allo stadio), prospettive molto vantaggiose si aprirebbero per tutti, tranne che per i Cinque Stelle. Poco male, potrebbero sempre ricominciare a menarsela con scatolette di tonno da aprire e traversate dello Stretto di Messina, tanto per distogliere l’attenzione da un Salvini che sembra abbia finalmente capito che è venuto il tempo della politica dopo tanto naufragar nel caldo mare d’agosto.

 

Il tempo nuovo della politica di Salvini, Ppe permettendo. L’analisi di Malgieri

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