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Gli Stati Uniti hanno formalmente condannato la Russia per le responsabilità dei bombardamenti che a Idlib, la provincia in cui i lealisti hanno spinto i ribelli man mano che procedevano a riconquistare il territorio. “Condanniamo i continui attacchi aerei da parte di Russia e Assad a Idlib. Questi attacchi distruggono le infrastrutture e uccidono i civili. Non esiste una soluzione militare in Siria. Chiediamo un cessate il fuoco immediato e un ritorno al processo politico. Porre fine a questo disastro umanitario”, scrive su Twitter il segretario di Stato, Mike Pompeo, accompagnato da un più corposo statement diffuso dalla sua portavoce. Una mossa diplomatica che segue di pochi giorni un appello simile ancora più potente, lanciato da Papa Francesco.

La situazione che è stata creata a Idlib è critica, è piuttosto nota. Alle opposizioni, sia i gruppi armati che i civili che vivevano nei territori occupati, durante le varie campagne di riconquista era stata offerta la triplice soluzione: subire in battaglia la forza violenta dei governativi (e conseguenze collegate); tornare sotto al regime una volta ripreso il controllo territoriale; oppure un corridoio verso Idlib. Spostare le persone nella provincia nordoccidentale siriana da altri territori aveva soltanto rimandato il problema, perché non erano state offerte garanzie realistiche e costruite soluzione per la stabilizza, e tatticamente, diventava un vantaggio per le forze assadiste — milizie sciite filo-iraniane, alcune unità militari siriane, e dal cielo i russi — che si sarebbero trovate le frammentate opposizioni raccolte in un’unica riserva di caccia.

Gestire Idlib, ora, diventa un’attività delicatissima perché ci sono centinaia di migliaia di persone, di cui la stragrande maggioranza sono civili, e combattenti d’ogni genere asserragliati. Poi c’è da mantenere gli equilibri con la Turchia. Ankara ha assunto in passato un ruolo di protettrice delle opposizioni, e anche per questo s’è sganciata dal sistema occidentale che a suo parere forniva troppe poche tutele a supporto dei gruppi anti-Assad. È però entrata in quel meccanismo dialogale noto come processo di Astana, promosso da Russia e Iran (gli unici alleati del regime di Damasco) in alternativa su negoziati più terzi onusiani.

Sostanzialmente i russi hanno portato Bashar el Assad alla quasi completa riconquista territoriale della fascia mediterranea siriana — che è quella che interessa di più a Mosca e al regime, eccezion fatta per il campo minerario di Deir Ezzor, che però si trova nelle aree centro-orientali dove la situazione della guerra civile si era complicata con la sovrapposizione del Califfato, argomento a cui i russi, al di là della propaganda, si sono disinteressati lasciando il lavoro alla Coalizione internazionale a guida americana, che ha liberato l’area grazie all’ausilio a terra delle forze curdo-arabe Sdf, le quali ora controllano quel territorio. Assad in questa fase agisce nella generale disattenzione, sulla via di una complessa riqualificazione diplomatica veicolata dal Cremlino, come fulcro della lotta al terrorismo, narrativa necessaria — quella di inquadrare tutte le opposizioni come forze integraliste e jihadiste — per sostenere pubblicamente le operazioni militari del regime e i danni ai civili.

Sono proprio questi che, dopo una campagna preparata da mesi sostenendo che u gruppi qaedisti di Idlib stavano violando gli accordi di non belligeranza, attirano di nuovo le attenzioni su “Animal Assad”, come l’aveva definito Donald Trump in occasione di un’altra situazione simile, quando gassò i civili rimasti a Douma in una di quelle operazioni di riconquista a cui i lealisti avevano dato ai nemici la possibilità di scegliere tra quelle tre opzioni di cui sopra. Stavolta, su Idlib, i fatti di cronaca si sommano di nuovo: la Cnn ha mostrato il dramma dei bombardamenti sulle abitazioni tramite un video-denuncia inviatogli da una residente siriana-americana; un fotografo molto famoso che accompagnava gli White Helmets, la protezione civile siriana, è rimasto ucciso in uno di questi raid; l’altro ieri un mercato è stato colpito e almeno 33 civili sono rimasti uccisi; l’Unicef ha denunciato che le bombe vengono buttate anche su infrastrutture pubbliche in sfregio assoluto dei diritti umanitari anche in caso di guerra; l’appello diretto del Papa.

“Servizi pubblici, fondamentali per i bambini, sono stati attaccati nelle scorse settimane a seguito dei combattimenti nel nord-ovest della Siria. Parte di questa triste realtà sono i ripetuti attacchi contro i servizi idrici […] nel distretto di Al-Ma’ra, a sud di Idlib […] strutture che forniscono acqua potabile a quasi 250.000 persone nella zona. Tra queste strutture c’è la principale stazione idrica nella zona di Maaret An-Numan”, scrive l’Unicef in un comunicato. A cui rilancia Amnesty International, che denuncia attacchi anche contro gli ospedali di Idlib e Hama, colpiti nonostante fossero state fornite le coordinate alle parti in conflitto (sebbene solo i governativi dispongano di copertura aerea). Ospedali, scuole, centri di raccolta, infrastrutture, mercati, sono costantemente bombardati da quando la Russia ha dato il via, era il 29 aprile. alla campagna aerea sulla provincia di Idlib — sebbene con ritmo più diluito, senza attirare troppo l’attenzione della Comunità internazionale.

Teoricamente dovevano essere operazioni mirare contro quei qaedisti irrequieti, ma a molto è sembrata la fase di preparazione per l’offensiva di terra con cui arrivare allo scacco finale. La tattica è rendere impossibile l’esistenza e la resistenza alle oltre tre milioni di persone che vivono in quell’area e far cedere i ribelli. La missione di riconquista tuttavia stalla, e Mosca pare essere innervosita dall’inconsistenza delle forze terrestri lealiste che da mesi non riescono a sfruttare la completa superiorità aerea per sfondare. Questa volta a Idlib manca, almeno per ora, il sacrificio di sangue che gli iraniani avevano chiesto ai gruppi controllato in altro casi, come Aleppo — ed è un segnale che la cooperazione tra i due principali sostenitori del regime non sta andando alla grande (l’Iran vorrebbe concentrarsi più a Est, sui pozzi di Deir Ezzor, ma ai russi lo status quo creatosi cin curdi e americani per ora non viola interessi).

(Foto: Twitter, @SyriaCivilDef)

Dopo il Papa anche gli Usa contro Assad (e la Russia) per le bombe a Idlib

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