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Ci sono due visite americane in Europa contemporanee che diventano importanti per il loro messaggio incrociato e la loro sovrapposizione. Il presidente Donald Trump sarà a Londra alla guida di una business delegation di prim’ordine su cui spicca il nome della Ceo di Lockheed Martin, Marillyn Hewson, capo dell’azienda che produce i cacciabombardieri di ultima generazione F-35, i più strategici tra i pezzi d’esportazione americani, simbolo dell’integrabilità dei sistemi d’arma tra alleati occidentali. Mentre Mike Pompeo, il segretario di Stato, è impegnato in altre visite, su tutte quella in Germania; un tour di contatto un po’ tralasciato dai media. Una fonte del mondo diplomatico italoamericano definisce il combinato disposto da Washington in Europa “diplomazia della Difesa”, vediamo perché usando gli argomenti di Pompeo a Berlino (e non solo).

LE SPESE PER LA DIFESA

Se su alcuni aspetti si sono cercati i classici toni accondiscendenti delle dichiarazioni congiunte, per i tedeschi il più imbarazzante dei passaggi toccati nella visita dell’americano  è stata la questione sollevata da Pompeo (in forma ultra-trumpiana) in un’intervista alla Bild. Il segretario ha colpito il governo tedesco per non aver raggiunto l’obiettivo Nato sulla Difesa, l’investimento del 2 per cento del reddito nazionale nel settore: “La conseguenza più grave è nelle mani della popolazione tedesca […] Il governo federale ha dato la promessa del 2 per cento e il popolo tedesco dovrebbe chiedere che il governo mantenga le sue promesse”, ha dichiarato. Quasi un monito generale, anticipato dalla pubblicazione dell’intervista il giorno prima della visita stessa, come a far da sfondo nelle relazioni e negli incontri.

Ed è questo il senso che gli americani vogliono dare alla presenza costante in Europa, cuore di un’alleanza nata sul mondo militare, nella costruzione di un ordine che poi è diventato globale e che si basa sulla stabilità difensiva e di sicurezza garantita dalla Nato — Hewson insieme a Trump, a Londra, con cui gli Stati Uniti hanno costruito la “special relationship” di Churchill basandosi sulla condivisione della macchina politico-militare. La Washington di Trump esige cooperazione dall’Europa e suddivisione dei compiti: necessità che sebbene in forma più edulcorata sono già state espresse da tempo da altra presidente statunitensi (ricordare l’accusa di Barack Obama agli alleati europei di essere “free-riders”, “scrocconi”).

L’IRAN: TEST E NECESSITÀ

Il primo (gerarchicamente) degli inviati internazionali di Trump ha incontrato a Berlino il suo omologo locale Heiko Mass con cui ha parlato innanzitutto di quello che adesso gli Stati Uniti ritengono il loro  problema più imminente: l’Iran. Una mesata fa, Pompeo aveva fatto saltare senza preavviso la tappa in Germania di una altro suo tour europeo (anche quello mosso in ambito Nato, e dunque Difesa) per riapparire all’improvviso a Baghdad. Erano i giorni in cui le intelligence americane aveva segnalato nuove problematiche di sicurezza legate all’Iran in Medio Oriente e la deviazione irachena del segretario di Stato mandava un messaggio netto sulla qualità e la serietà dell’ordine di ingaggio con cui gli Usa avrebbero risposto a quelle informazioni.

Parlarne con i tedeschi ha un valore importante: la Germania è stata, insieme a Francia e Regno Unito, cofirmataria dell’accordo sul nucleare con l’Iran del 2015 e guida il progetto europeo per tenerlo in vita nonostante l’uscita unilaterale americana. Pompeo ha detto che gli Stati Uniti non sono contrari al Sintex, il meccanismo con cui l’Ue ha pensato di salvaguardare le attività finanziare-commerciali con la Repubblica islamica dalla reintroduzione delle sanzioni americane, a patto che gli scambi riguardino prodotti umanitari o generi comunque non messi sotto embargo da Washington (ossia, sì al Sintex, ma posti certi paletti diventerebbe inutile).

L’ARGOMENTO EBREI

Pompeo ha anche usato il contesto di cronaca interna per cavalcare  l’argomento Iran e farlo girare anche attorno al mondo ebraico, sensibilità per i tedeschi. In settimana l’incaricato del governo federale per la lotta all’antisemitismo aveva dichiarato che non se la sentiva di raccomandare di indossare la kippah in qualsiasi momento perché in Germania gli ebrei potrebbero non essere sicuri. Pompeo ha ripreso il discorso, che in realtà era legato alla crescita delle posizioni politiche nazionaliste e anti-semite, e l’ha girato a suo favore ricordando come Teheran — nemico esistenziale dello stato ebraico — è questione di insicurezza per Israele e gli ebrei.

Il segretario ha chiesto a Berlino di proteggere gli ebrei e di ascoltarne le istanze (gioco utile anche per il ritorno politico-elettorale negli Usa con un mondo a cui Pompeo è Trump sono legato) e tra queste la lettera con cui il Consiglio centrale ebraico — il cui presidente era stato il primo a sollevare il problema sicurezza nell’indossare la kippah nelle grandi città tedesche — ha chiesto di designare il gruppo politico anti-semita libanese Hezbollah come organizzazione terroristica. Scelta già fatto da Regno Unito e Paesi Bassi. La questione Hezbollah, la cui ala combattente è riconducibile all’Iran (usata anche per compiere operazioni clandestine) è al centro di un pressing costante sul governo tedesco da parte dell’ambasciatore statunitense Richard Grenell, e per gli Stati Uniti è importante perché Gerusalemme ritiene che primo o poi il gruppo riaprirà il fronte dal Libano e le intelligence ritengono gli Hez responsabili per procura di varie attività con cui l’Iran cerca di diffondere velenosamente la sua influenza regionale. Individuarlo come terrorismo è anche una dimostrazione di interessamento, diciamo così, davanti alle richieste di Washington.

LA CINA (E LA SVIZZERA)

Pompeo, dopo un rapido incontro con la Cancelliere Angela Merkel (appena tornata dagli Stati Uniti, invitata a parlare per il cerimoniale accademico di Harvard), è poi ripartito per la Svizzera. Negli ultimi venti anni nessun segretario di Stato aveva visitato  l’ambasciata di Berna, ma il ruolo degli elvetici in questa fase è importantissimo. Sono loro a fornire i servizi diplomatici per gli americani in Iran, e mantengono un canale secondario di dialogo con Teheran, con cui Washington non ha relazioni dirette. Ma la Svizzera è anche un paese che recentemente ha aderito alla Belt & Road Initiative cinese, e il contenimento della penetrazione di Pechino in Europa è stato un altro argomento al centro delle discussioni anche in Germania (e lo è anche nelle tappe in Belgio e Olanda) perché è attualmente l’elemento di maggiore profondità strategica legato alla presenza americana nel Vecchio Continente.

La diplomazia della Difesa rappresentata da Pompeo cerca di spingere gli alleati per lo meno a evitare di integrare nei propri sistemi 5G ditte cinesi come Huawei: il segretario è stato di nuovo molto esplicito a Berlino spiegando che il rischio è l’interruzione dello scambio di informazioni di intelligence con gli Usa — che temono di essere spiati dalla Cina attraverso backdoor lasciate aperte dalle aziende produttrici del Dragone per favorire gli 007 di Pechino. Niente informazioni dagli americani significa un indebolimento in difesa e sicurezza inaccettabile per qualsiasi paese. Londra e Berlino sono esitanti sotto le pressioni americane, ma il ban contro Huawei, così come la designazione terroristica per Hezbollah o l’acquisto degli F-35, seppur con diverse caratteristiche (e pesi), sono tutti argomenti che rientrano nella forte richiesta di allineamento che vuole la Washington trumpiana.

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