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La lotta senza quartiere tra Matteo Salvini e le ong si ingarbuglia. In un modo o nell’altro quasi sempre le imbarcazioni delle associazioni umanitarie riescono ad approdare a Lampedusa e a sbarcare i migranti raccolti in mare: si aprono inchieste, si effettuano sequestri, si indagano persone con esiti diversi da caso a caso ma, nonostante il mantra del ministro dell’Interno sia “non sbarcano”, alla fine sbarcano. Nelle ultime ore il sintomo di una situazione che va degenerando è stato l’attacco di Salvini ai titolari dell’Economia e della Difesa, rei di non aiutarlo nella lotta all’immigrazione selvaggia. Qua bisogna intendersi: a Giovanni Tria fa capo la Guardia di Finanza, ma nel caso specifico non si tratta di polizia economico-tributaria, bensì di unica polizia del mare dal gennaio 2017 in base alla legge Madia e in quanto tale attua le direttive dell’autorità di pubblica sicurezza. Cioè del ministero dell’Interno, cioè di Salvini. Quando quella motovedetta delle Fiamme gialle si frappose tra il molo di Lampedusa e la Sea Watch 3 rischiando di esserne schiacciata stava eseguendo ordini attinenti alla pubblica sicurezza: che c’entra Tria?

 L’ATTACCO ALLA DIFESA 

Ancora più curioso è l’attacco a Elisabetta Trenta, da cui dipende la Marina militare, perché la Difesa non avrebbe fornito adeguato supporto al Viminale. La replica è stata che le navi erano pronte a trasferire i migranti dal veliero Alex a Malta e ci sarebbe stato il no del ministero dell’Interno, la controreplica è stata invece che il supporto della Marina è necessario per “bloccare le navi che vogliono portare i clandestini in Italia e non per aiutarle nel trasporto”. Anche qua bisogna intendersi: che significa “bloccare le navi”? Il ministro dell’Interno crede che la Marina militare possa effettuare un blocco navale impedendo la rotta a imbarcazioni con migranti a bordo con ardite manovre rischiando di causare un naufragio?

UN’EMAIL DISCUTIBILE E LE ACCUSE DI MEDITERRANEA 

La notte deve aver portato consiglio perché dal Viminale hanno diffuso l’email spedita venerdì 5 luglio alle 19.29 da Erasmo Palazzotto, coordinatore della missione Mediterranea e deputato di Leu, e da Tommaso Stella, comandante della Alex, nella quale ponevano delle condizioni strettissime per accettare il trasbordo dei migranti su navi militari maltesi: trasbordo “tassativamente” a 15 miglia dalla costa, in acque internazionali, e “precisa garanzia che nessuna iniziativa coercitiva sarà assunta da parte delle stesse autorità maltesi e italiane”. Comunque la si pensi, e fatto salvo l’obbligo di salvare chiunque rischi di affogare, uno Stato di diritto non può accettare condizioni tassative poste da organizzazioni private. Oggi la Alex è stata sequestrata dalla Guardia di Finanza e Stella è indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Salvini ha fatto sapere che “il rispetto per i militari italiani da parte del ministero dell’Interno è totale e che per questo ritiene debbano essere utilizzati per compiti coerenti con la propria missione, come la protezione della legge e dei confini”, ricordando anche i rischi corsi da quella motovedetta della Finanza. Una carezza ai militari e un equivoco che resta: proteggere i confini come?

Dall’altro lato, Mediterranea accusa Salvini di volere il loro “scalpo”, di voler trattare le persone “come sacchi di patate”, di non avere avuto alternative al loro comportamento e di voler tornare in mare immediatamente “per sconfiggere i trafficanti favoriti dalle politiche di questo governo”.

MALTA IN STILE ITALIANO

Nel frattempo il braccio di ferro tra la valletta e la Alan Kurdi, che si era diretta verso l’isola, si è risolto con lo sbarco dei migranti che saranno ricollocati in Europa, come avvenne in aprile dopo un’altra operazione della stessa nave, quando i migranti sbarcarono dopo 11 giorni una volta raggiunto un accordo per la ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea.

LA LIBIA RESTA LONTANA 

La grande assente resta la diplomazia internazionale nonostante in Libia continui la guerra e nonostante i ripetuti annunci del governo di Tripoli di voler chiudere i campi di detenzione di migranti. Dopo quelle del presidente Fayez al Serraj, sono arrivate le parole del ministro dell’Interno, Fathi Bishaga, che alla Repubblica ha confermato l’intenzione di migliaia di persone di voler partire, l’inutilità di 7mila migranti prigionieri quando, ha detto, ce ne sono centinaia di migliaia liberi e soprattutto ha accusato l’Europa di preoccuparsi solo dei flussi migratori e non della Libia sottolineando che la soluzione del problema immigrazione è legata a contrabbando, corruzione e terrorismo, cioè alla stabilizzazione del Paese.

La guerra sta indebolendo la Guardia costiera libica e ormai i media, quando una nave ong raccoglie dei migranti, descrive un’operazione “al largo della Libia” senza specificare quasi mai che si tratta di un intervento nell’area Sar di competenza esclusiva della Guardia costiera di Tripoli. La conferma è arrivata da Giulia Berberi, medico di bordo del veliero Alex, che a Skytg24 ha spiegato: “Li abbiamo trovati su un gommone che, in realtà, era in buone condizioni. Il problema è che ci trovavamo in zona libica e loro stavano venendo a prenderli, quindi immediatamente li abbiamo caricati sulla barca e siamo partiti”: non stavano naufragando, erano in area Sar libica e sarebbero stati salvati dai libici, ma l’obiettivo delle associazioni umanitarie è impedire che quelle persone tornino in Libia.

IL CODICE DIMENTICATO 

Quando nel 2017 l’allora ministro Marco Minniti fece firmare un codice di condotta alle organizzazioni non governative, uno dei punti era il seguente: “l’impegno a non entrare nelle acque territoriali libiche, salvo in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedano assistenza immediata, e di non ostacolare l’attività di Search and Rescue (Sar) da parte della Guardia costiera libica”. In coda si precisava che “la mancata sottoscrizione di questo Codice di Condotta o l’inosservanza degli impegni in esso previsti può comportare l’adozione di misure da parte delle Autorità italiane nei confronti delle relative navi, nel rispetto della vigente legislazione internazionale e nazionale, nell’interesse pubblico di salvare vite umane, garantendo nel contempo un’accoglienza condivisa e sostenibile dei flussi migratori. Il mancato rispetto degli impegni previsti dal presente Codice di Condotta sarà comunicato dalle Autorità italiane allo Stato di bandiera e allo Stato in cui è registrata l’Ong”. E’ vero che, come ha ricordato più volte Minniti nei giorni scorsi, quel codice rientrava in un coordinamento ampio che comprendeva la Guardia costiera italiana, la missione Frontex e l’operazione Sophia dell’Ue, oggi di fatto inesistenti, ma le ong erano nel mirino da tempo e basta andare a rileggere le audizioni di fronte all’allora commissione Difesa del Senato presieduta da Nicola Latorre. D’altro canto, pensare che Salvini (che non ha neanche fatto il passaggio di consegne con il suo predecessore) potesse prendere in considerazione un lavoro di Minniti sarebbe come se lui, fedelissimo rossonero, fosse costretto a tifare Inter.

LE CONSEGUENZE POLITICHE 

Il Movimento 5 stelle accusa alcuni media, come Der Spiegel, di “reggere il gioco delle ong sul palcoscenico di un grande Truman Show dell’ipocrisia” e mentre nessuno parla delle “centinaia di migranti che continuano ad arrivare”, le ong “da questo palcoscenico traggono solo profitti e pubblicità”. Una strada che però non aiuta: nonostante gli errori, le forzature, il nervosismo tra alleati, quanto sta avvenendo fa crescere ulteriormente la Lega nei sondaggi. L’ultimo realizzato da Antonio Noto indica il 38 per cento (+3,7 rispetto alle Europee), con il Pd al 24 per cento (+1,3) e il M5S al 17 (-0,1). La crescita di Fratelli d’Italia all’8 per cento (+1,6) e il calo di Forza Italia al 6,5 (-2,3) indica che il pugno duro piace e che a sinistra il Partito democratico addirittura recupera ancora nonostante le incertezze di Nicola Zingaretti e la guerra civile interna: l’attacco di Matteo Renzi a Minniti ha dato l’idea di un magma che fa sembrare l’eruzione dello Stromboli come un fuoco d’artificio da sagra paesana.

LE PAROLE DI CAROLA 

Infine, meritano un cenno le recenti dichiarazioni di Carola Rackete, comandante della Sea Watch 3. Nei giorni in cui la nave era ancora al largo, i telegiornali hanno trasmesso le comunicazioni radio in cui le autorità italiane le chiedevano nomi e nazionalità dei migranti a bordo e Carola rispose di non poterli fornire perché non li conosceva. Invece, nell’intervista alla Repubblica del 6 luglio, ha detto che lei non aveva rapporti con i migranti perché troppo occupata, “i ragazzi di Sea Watch, invece, li conoscevano uno per uno, con nome e cognome. Solo così siamo riusciti a evitare il panico”. Quindi, a quanto pare, le informazioni che l’Italia chiedeva erano disponibili, ma non sono state fornite lo stesso.

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