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Il rischio di escalation tra Stati Uniti e Iran ha fatto il suo ingresso nell’Alleanza Atlantica. A due giorni dall’insediamento, il nuovo capo del Pentagono Mark Esper ha debuttato tra i colleghi della Nato, portando con sé l’arduo compito affidatogli da Donald Trump: cercare di spingere gli alleati europei all’adesione della linea Usa, finalizzata a riportare Teheran a un tavolo negoziale in cui, oltre al nucleare, sia compresa la rinuncia al programma missilistico e al supporto ai proxy regionali. “Non vogliamo la guerra con l’Iran”, ha ripetuto più volte in conferenza stampa. Eppure, “continuiamo con la massima pressione”, nonché nel tentativo di “internazionalizzare la questione con i nostri alleati”. Sentendo le parole del segretario generale Jens Stoltenberg, il tentativo sembra riuscito, quantomeno nella condivisione delle preoccupazioni per l’escalation.

IL TENTATIVO DI ESPER

“Abbiamo discusso di Iran e della situazione nel Golfo persico”, ha raccontato il numero uno dell’Alleanza nella conferenza a conclusione della due-giorni di Bruxelles con i ministri della Difesa. “Il segretario Esper ha presentato la situazione agli alleati; tutti i nostri Paesi sono preoccupati dal comportamento destabilizzante di Teheran”. Per questo, ha aggiunto Stoltenberg, “continuiamo a condividere informazioni e intelligence al fine di supportare gli sforzi per la de-escalation”. Parole che si sommano a quelle di Esper, che da parte sua ha spiegato alla stampa che il coinvolgimento degli alleati serve per rafforzare la pressione sul regime iraniano, così da spingerlo a un tavolo negoziale che comprenda una molteplicità di elementi: nucleare, missili balistici, “supporto al terrorismo internazionale” e libertà di navigazione nello stretto di Hormuz e oltre.

LE RISPOSTE AI MISSILI RUSSI

Non c’è stato però solo l’Iran nella ministeriale di Bruxelles. In cima alle preoccupazioni resta la Russia e, in particolare, le violazioni al trattato Inf che proibisce il dispiegamento di missili nucleari terra-aria a raggio intermedio. Su questo, le parole del segretario generale alla vigilia della riunione avevano fatto presagire la possibilità di adozione di una linea dura, con l’ipotesi di dispiegare missili nucleari nel rispetto della deterrenza più tradizionale. Stoltenberg ha poi corretto il tiro (“non vogliamo una nuova corsa agli armamenti”), complici anche le parole dell’ambasciatrice Usa alla Nato Kay Bailey Hutchison che hanno circoscritto le possibili mosse nell’ambito del “convenzionale” e del “riavvio delle attività di ricerca e sviluppo” interrotte da Washington per rispettare l’accordo. Lo ha ribadito lo stesso Esper: “Non intendiamo dispiegare nuovi missili nucleari basati a terra in Europa”. La speranza, almeno nelle dichiarazione, è di poter riportare la Russia al rispetto degli accordi. Mosca, ha detto Stoltenberg, “ha ancora una possibilità di salvare il trattato Inf” quando la prossima settimana tornerà a riunirsi il Consiglio Nato-Russia.

LA PARTITA CINESE…

Poi, c’è il confronto con la Cina, altro dossier tradizionalmente estraneo alla Nato che gli Stati Uniti stanno cercando di inserire. Insieme a Mosca, Pechino resta “il nostro principale competitor”, ha ammesso Esper. Con il crescente attivismo teso a “dominare” il campo tecnologico (qui il segretario Usa ha fatto esplicito riferimento al 5G), i cinesi pongono all’Alleanza Atlantica minacce tutte nuove. Su questo, ha spiegato Esper, i ministri della Difesa si sono confrontanti. “Per ora – ha detto – su questi domini la Nato appare debole, ma si sta adattando alle nuove minacce”. Lo stesso avviene nel dominio spaziale, altro campo in cui Pechino si dimostra particolarmente assertiva.

…E LA SPACE POLICY

Anche per questo, dalla ministeriale di Bruxelles è arrivata la prima Space policy della Nato. “Lo Spazio – ha notato Stoltenberg – è essenziale alla difesa e deterrenza dell’Alleanza; dall’abilità di tracciare e indirizzare le forze, ai satelliti per comunicazioni fino all’individuazione di minacce missilistiche”. Così, ha aggiunto, “la nostra nuova politica guiderà il nostro approccio verso lo Spazio, le opportunità e le sfide”. Anche in questo caso, sembra essersi fatta sentire la pressione degli Stati Uniti, da tempo a lavoro per stabilire la Space Force voluta da Donald Trump. Nonostante le rassicurazione di Stoltenberg (“non si tratta di militarizzare lo Spazio”), il trend del confronto militare extra-atmosferico appare ormai consolidato. “La Nato – ha detto il segretario generale – può giocare un ruolo importante come forum per condividere informazioni, aumentare l’interoperabilità e assicurare che operazioni e missioni possano avere il supporto di cui hanno bisogno”.

IN AFGHANISTAN “FINO A QUANDO SARÀ NECESSARIO”

Come ormai di consueto, i ministri si sono confrontati sull’impegno maggiore della Nato fuori teatro: la missione Resolute Support in Afghanistan. L’ipotesi di ritiro che a inizio anno aveva fatto discutere (anche in Italia) si è ormai incardinata nella linea di “unità” tra alleati e partner coinvolti. Dunque, ha ribadito Stoltenberg, si prosegue con il “supporto agli sforzi degli Stati Uniti per ottenere un accordo politico” nel Paese, ma si resta “fino a quando sarà necessario, così da assicurare che l’Afghanistan non diventi mai più un safe haven per il terrorismo internazionale”. La linea è quella sposata dall’Italia, confermata nei numeri del pacchetto missioni ormai prossimo all’approvazione per il 2019. Si conferma infatti una presenza massima di 800 soldati, frutto della riduzione di un centinaio di unità già approntata nella parte finale dello scorso anno. Anche di questo ha parlato il ministro Elisabetta Trenta con l’omologo afgano Asadullah Khalid, incontrato a margine della riunione tra i vari bilaterali.

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