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Messa alle strette dall’inserimento nella lista nera del Dipartimento del commercio Usa, Huawei ha annunciato che intende commercializzare il primo smartphone dotato di sistema operativo proprietario già nella primavera del 2020. Ma sono molti gli analisti che prevedono un robusto calo nelle vendite, soprattutto sui mercati occidentali, dove gli utenti prediligono di gran lunga i prodotti e i servizi del colosso statunitense Google, resi inaccessibili dal regime sanzionatorio americano.

VERSO HARMONY?

In pratica, se il colosso di Shenzhen continuerà a non poter utilizzare il software Android di Mountain View, l’azienda – ha dichiarato Yu Chengdong, direttore della divisione consumer business di Huawei, in occasione dell’expo Ifa 2019 di Berlino – introdurrà una versione per smartphone del suo sistema operativo HarmonyOs sul suo modello di punta P40, che sarà annunciato a marzo prossimo.

I DUBBI SUL NUOVO SO

La notizia ha in ogni caso stupito, perché molto si è scritto, in questi mesi, sulle difficoltà incontrate dal gigante cinese – secondo produttore di smartphone al mondo, prima di Apple e subito dopo la sudcoreana Samsung – nello sviluppo del nuovo sistema operativo. Voci insistenti, che hanno persino portato Huawei a confermato la notizia data da Reuters secondo cui starebbe studiando come utilizzare Aurora, sistema operativo realizzato dall’operatore statale russo di telecomunicazioni Rostelecom, almeno in attesa che il proprio software proprietario Harmony (o Hongmeng che dir si voglia) sia sufficientemente maturo o che non salti del tutto come Wired ha recentemente riportato. Ostacoli che, secondo l’annuncio di Yu sembrerebbero dunque superati, ma che comunque difficilmente convinceranno i consumatori di tecnologia occidentali, abituati a Android e all’ampio ecosistema di servizi targati Google: Gmail, Calendar, Maps e la suite di produttività, per citare alcuni dei più celebri.
Un’altra strada a disposizione di Huawei sarebbe forse potuta essere quella di installare la versione open source del sistema operativo mobile Android e rendere disponibili le app Google sul proprio store online App Gallery. Una strada (probabilmente ritenuta complessa per alcune ragioni) che stando alle ultime notizie si sarebbe scelto di non imboccare.

GLI ALLARMI DEL FONDATORE

A giugno era stato lo stesso Ren Zhengfei, il fondatore della telco, a spiegare che Huawei aveva tagliato di trenta miliardi di dollari le stime dei ricavi per il 2019-2020, fissando le vendite attorno ai cento miliardi di dollari (89,16 miliardi di euro) e prevedendo un crollo del 40% delle esportazioni di smartphone prodotti dal gruppo per il 2019 (mentre dovrebbe contare su una sostanziale tenuta nel mercato interno e in alcuni Paesi asiatici).

TENSIONE ALTA

Nel frattempo la tensione tra Huawei e l’amministrazione americana guidata da Donald Trump resta altissima. Recentemente è entrato in vigore negli Stati Uniti il divieto per le agenzie federali di acquistare prodotti e servizi da Huawei, Zte e altre aziende tecnologiche di Pechino. Un disco rosso che si applica a realtà come il dipartimento della Difesa, l’Amministrazione per i servizi generali e la Nasa, e riguarda i prodotti e i servizi di una serie di aziende cinesi ritenute un pericolo per la sicurezza nazionale, tra le quali, appunto, Shenzhen, ritenuta – sul 5G ma non solo – uno strumento della Repubblica Popolare per spiare aziende e istituzioni americane.

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