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Il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, ha detto che secondo le informazioni di intelligence ottenute dai funzionari americani l’Iran è responsabile degli attacchi odierni alle due petroliere nel Golfo dell’Oman, rotta cruciale per il transito di gran parte del petrolio mondiale.

Pompeo ha parlato in una conferenza stampa straordinaria senza però presentare prove del coinvolgimento iraniano, sebbene nelle ore precedenti fosse stato già indicato da alcune fonti anonime del Pentagono, che avevano parlato con i giornalisti. Il presidente Donald Trump ha twittato l’estratto della dichiarazione in cui viene incolpato l’Iran.

L’affermazione, fa notare il New York Times, è destinata ad alimentare le tensioni tra l’amministrazione Trump e i leader iraniani. Crisi innescata all’inizio di maggio, quando la Casa Bianca ha reso pubbliche le preoccupazioni dell’intelligence proprio per il verificarsi di attacchi simili a quelli subiti dalle due navi oggi e da altre quattro davanti al porto emiratino di Fujairah un mese fa. Gli Stati Uniti hanno avviato movimenti militari in risposta a ciò che i funzionari americani hanno definito un aumento della minaccia da parte dell’Iran. Poi gli “incidenti” marittimi è una serie di attacchi in Arabia Saudita compiuti dai ribelli yemeniti Houthi, connessi con Pasdaran. Prima droni kamikaze contro pipeline petrolifere, poi addirittura un missile è caduto sulla sala di attesa di un aeroporto civile di Abha. Nella notte, altri cinque droni sono stati intercettati e abbattuti prima di colpite il territorio saudita.

Pompeo ha detto che il sabotaggio contro le due petroliere è solo l’ultimo di una serie di recenti violenze compiute dall’Iran. “Nel complesso, questi attacchi indiretti e non giustificati rappresentano una chiara minaccia per la pace e la sicurezza internazionali”, ha detto il capo della diplomazia americana. Javad Zarif, il ministro degli Esteri iraniano, ha scritto su Twitter: “Dire sospetto non basta per descrivere quello che è emerso stamattina”, ed è sembrato accusare velatamente gli americani di quanto successo. Dalla rappresentanza alle Nazioni Unite è arrivata la difesa iraniana: “Gli Stati Uniti e i suoi alleati regionali smettano di seminare guerra e mettano fine ai loro piani ostili e alle operazioni segrete (false flag) nella regione”

Pompeo e John Bolton, il consigliere per la sicurezza nazionale, hanno entrambi dichiarato alla fine di maggio che l’Iran era responsabile delle azioni precedenti, sebbene nessuno dei due abbia presentato prove. Che sono un aspetto delicato: renderle pubbliche potrebbe far saltare tecniche e procedure adottate dai servizi segreti e dai militari. Il 30 maggio, Pompeo ha detto ai giornalisti di aver visto prove del coinvolgimento iraniano dietro la vicenda di Fujairah  e ha affermato che “questi sono gli sforzi degli iraniani per aumentare il prezzo del greggio in tutto il mondo”. Riferimento: l’export petrolifero iraniano è stato drasticamente ridotto da quando gli Stati Uniti — ritirandosi dall’accordo raggiunto nel 2015 per bloccare il programma nucleare iraniano — hanno reintrodotto tutta l’intera panoplia sanzionatoria.

Anche i dettagli degli incidenti di giovedì sono rimasti riservati per ora. Possibile l’uso di mine magnetiche attaccate da qualche sub esperto: non mancano gli incursori dal set militare iraniano. Sì è parlato anche di siluri, lanciati (si ipotizza) da unità sottomarine rapide; ci sono anche queste tra gli armamenti in mano a Teheran, che tra l’altro avrebbe potuto sfruttare una logistica perfetta: alcuni porti militari sono a poche miglia nautiche da dove le petroliere sono state attaccate. Ma non c’e da escludere altre tipologie di attacco: droni per esempio. Ipotesi.

Lo stesso è successo per i fatti di Fujairah, dove gli UAE hanno indicato solo la presenza di un “attore statale” dietro ai sabotaggi, tanto erano tecnicamente sofisticati, ma senza specificare troppo le azioni; erano state usate mine a carica ridotta per evitare di affondare le navi. Anche in quel caso gli americani hanno dato direttamente la responsabilità all’Iran. Stavolta anche Londra si è accodata: funzionari hanno detto ai giornali di aver ragione di credere al coinvolgimento iraniano; il segretario di Stato ha detto il punto di partenza per gli inglesi sta nel credere a quel che dicono gli alleati.

La US Navy ha diffuso nella serata di ieri un video in cui alcuni sommozzatori della marina iraniana – del Corpo dei Guardiani – starebbero cercando di rimuovere una mina inesplosa sotto uno dei due scafi (quello della giapponese Kokuka Courageous). Da lì (dalla sua fabbricazione) sarebbe stato possibile reperite informazioni sugli autori: per questo gli iraniani avrebbero rimosso la prova chiave? Altre ipotesi, immerse in uno scenario delicatissimo: detto chiaramente, quanto successo potrebbe essere l’innesco di una guerra, ma tutti si premurano nel dire che non lo sarà (si spera, di solito aggiungono, pensando al Golfo del Tonchino). .

Nei mesi scorsi, Pompeo — storicamente su posizioni da falco con la Repubblica islamica — aveva fatto dodici richieste all’Iran che vanno ben oltre le questioni nucleari. L‘obiettivo di Washington, di sponda con alleati regionali come Arabia Saudita, Emirati e Israele, è annullare la “politica estera espansionistica” dell’Iran e reprimere l’influenza dei gruppi politici e militari che Teheran ha diffuso in vari Paesi della regione. Dal punto di vista mainstream , ciò include Hezbollah in Libano, i ribelli Houthi nello Yemen e una costellazione di gruppi armati in Iraq. Quando gli Stati Uniti parlano di aumento della minaccia, pensano anche a queste organizzazioni paramilitari che gli iraniani hanno armato anche usando la scenografia contorta sella guerra in Siria. Sono sotto la guida dei Guardiani, il corpo militare teocratico in cui si annidano le posizioni più aggressive: ma potrebbero anche uscire dai ranghi e compiere drammatici scatti incontrollati, oppure essere spinte all’azione dai controllori di Teheran che detestano la linea più moderata del governo; terza ipotesi, il gioco doppio tra le due componenti del governo iraniano.

Ora, alla luce dei fatti di oggi, alcuni funzionari americani dicono che un’opzione al vaglio è la possibilità di scortare militarmente le navi cargo in uscita dal Golfo. Da quelle acque passa il 40 per cento del mercato petrolifero globale, e l’Iran aveva minacciato a inizio maggio (quando gli Usa tolsero un’esenzione temporanea concessa ad alcuni paesi per acquistare petrolio iraniano) di chiudere la strettoia di Hormuz, poco a nordest dei fatti di ieri. “I continui attacchi non giustificati dell’Iran nella regione sono una minaccia alla sicurezza internazionale e alla pace e un attacco alla libertà di navigazione in mare aperto”, ha detto il capo del Pentagono facente funzione Patrick Shanahan, che già per il sabotaggio di Fujairah aveva indicato che  l’Iran poteva essere il responsabile. “Non stiamo cercando un conflitto […] ma proteggeremo il commercio globale e difenderemo la libertà di navigazione”, ha detto Shanahan, ribadendo che, come detto da Pompeo, “l’attenzione del governo degli Stati Uniti è sulla diplomazia, per guidare un accordo globale che promuova la pace e la sicurezza”.

È la linea Trump dietro alle armi: la massima pressione sull’Iran è tattico-strategica. Vi si lega il dispiegamento militare in Medio Oriente e le azioni sanzionatorie, così come le reazioni nervose di alcuni apparati iraniani. L’obiettivo è far tornare di nuovo Teheran al tavolo negoziale, in una posizione di debolezza. Ieri, durante gli sviluppi della vicenda delle petroliere, la Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, ospitava il premier giapponese Shinzō Abe, che tra i mandati della sua visita aveva anche la delega non ufficiale americana per la costruzione di un programma di contatto tra Usa e Iran. Dall’incontro è uscito un sostanziale rifiuto della Guida a trattare, anche per la scarsa affidabilità dimostrata dall’amministrazione Trump sia nel caso del ritiro dall’accordo sul nucleare sia nell’occasione di quest’ultimo contatto — dice Khamenei via Twitter: “Non ne val la pena”. Sebbene Abe fosse stato ingaggiato per la diplomazia, Washington ha anticipato il viaggio del giapponese alzando nuove sanzioni contro il settore petrolchimico iraniano.

 

 

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