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Mentre il governo italiano è impegnato a tradurre la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza in disegno di legge di bilancio, sull’economia internazionale si stanno addensando nubi di una recessione, e di una guerra commerciale ad essa correlata.

Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le stime di crescita per l’economia mondiale nel 2019 dal 3,9% al 3,7%. Si potrà dire che si tratta di un semplice “zero virgola”, ma è un dato eloquente in quanto il documento Fmi lancia un duplice avvertimento: la seconda più lunga espansione dell’economia americana sta cambiando direzione e le indicazione di una guerra commerciale si stanno facendo sempre più concrete.

In altri termini, una nuova recessione è alle porte ed il mondo (e l’Italia) sono del tutto impreparati. In passato, trattare una fase di flessione dell’economia era relativamente semplice: la banca centrale avrebbe ridotto i tassi d’interesse a breve sino al miglioramento del quadro e delle prospettive. Ora la situazione è molto più complessa: per uscire dalla recessione iniziata nel 2007-2008, non è stato sufficiente portare a zero i tassi d’interesse ma le banche centrali hanno dovuto utilizzare strumenti non convenzionali di politica monetaria come il Quantitave Easing. Impiegare il bilancio in funzione anticiclica può essere difficile soprattutto per i Paesi (come l’Italia) che hanno un alto debito pubblico. Ancora per il momento, l’economia americana è il volano di quella mondiale. Il tracollo della Borsa di Shangai mostra che poco ci si può aspettare dall’Estremo Oriente in termini di trazione e i travagli nel Cono Sud dell’Emisfero Occidentale indicano che pochissimo ci si può attendere dall’America Latina.

In questo contesto si affilano sempre più le armi di una guerra commerciale tra Usa e Cina che sembra destinata a coinvolgere il resto del mondo. In effetti, pochi in Europa, e quasi nessuno in Italia ha notato come nelle ultime settimane la strategia commerciale della Casa Bianca si è affinata. Dopo una prima fase in cui la Casa Bianca è parsa di prendersela con tutti e di accusare pure gli alleati tradizionali (Canada, Messico, Unione Europea, Giappone e Corea del Sud), accusati di “pratiche commerciali scorrette”, sta apparendo chiaro che il vero obiettivo è la Cina e che, con l’eccezione di qualche categoria merceologica, le scaramucce con gli alleati erano tanto un diversivo tattico quanto uno strumento per coinvolgere anche loro nella guerra con quello che fu il Celeste Impero.

Lo mostra a tutto tondo una clausola che pochi hanno notato nel nuovo accordo di libero scambio dell’America del Nord (Nafta 2) appena concluso dagli Usa con Canada e Messico: la parti contraenti si impegnano a non concludere “accordi commerciali con economie non di mercato” perché altrimenti perderebbero accesso ai mercati dei partner. In pratica, è una clava che minaccia Canada e Messico, Paesi per i quali l’accesso al mercato americano è vitale. È concepibile una clausola analoga in un eventuale intesa commerciale con l’Unione Europea. In breve, Washington prepara una “grande coalizione” contro Pechino. Una guerra commerciale vera e propria che non potrà non accentuare le tendenze recessive.

In questo quadro, l’Italia ed il suo disegno di legge di bilancio. Appare sempre più evidente che una crescita del Pil dell’1,6% nel 2019 (come immaginato dal ministro dell’Economia e delle Finanze) è una chimera. Molto più probabilmente sarà (come dicono i principali modelli econometrici) attorno allo 0,9%. Ciò comporta una drastica revisione delle politiche di spesa pubblica preconizzate nel Def.

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