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“Fin dalla primissima settimana del mio mandato ho preso la decisione di non incontrare i lobbisti”: è la categorica dichiarazione della commissaria europea Margrethe Vestager. Ma davvero coloro che rappresentano gli interessi dei cittadini e delle imprese devono rimanere fuori dalla porta dei palazzi della politica? Questa scelta serve a proteggere la democrazia? O, al contrario, ne mette in discussione i presupposti? Per il nostro foglio mensile PRIMOPIANOSCALAc di Telos A&S ne abbiamo parlato con Theodoros Koutroubas, professore di Scienze Politiche all’Università Cattolica di Lovanio e autore, insieme a Marc List, del volume Comunicazione politica e Lobbying.

Koutroubas ricorda l’origine della parola lobby, che sembra si riferisca all’atrio del Parlamento inglese, dove erano solite riunirsi persone provenienti dalle varie aree del Regno Unito, con l’intento di incontrare i rappresentanti dei propri collegi elettorali. Perché? Semplice. Per informarli su quanto accadeva a livello locale e sollecitare un eventuale intervento del Governo centrale.

Non c’è dubbio che dichiarare l’intento di lasciare i lobbisti fuori dalla porta può avere un sapore romantico, addirittura epico. Bisogna ammettere che l’intransigente gestione della cosa pubblica, senza ‘l’inquinamento’ degli interessi particolari, suona bene. Ma, a pensarci meglio, suona sordo e ottuso.

Che politica sarebbe quella che non ascolta le esigenze di coloro ai quali quella stessa politica è rivolta? Che democrazia sarebbe quella in cui gli eletti prendono in considerazione il punto di vista degli elettori solo quando si tratta di chiedere il loro voto? “Il dialogo tra chi governa e chi desidera dare un contributo alle decisioni pubbliche è una componente essenziale delle nostre democrazie, perché la partecipazione dei lobbisti ai processi decisionali consente sia ai legislatori eletti sia alla burocrazia di fare le proprie scelte in modo pienamente informato, e al contempo rafforza la legittimità dell’intero sistema politico. Sono convinto che chiudere le porte del sistema decisionale ai rappresentanti di interessi legittimi ci riporterebbe indietro nel tempo, a quello dei politici onnipotenti che durante il loro mandato si comportavano come monarchi assoluti” sostiene Koutroubas.

Chiarito questo, rimane però un dubbio. La lobby sembra una cosa da ricchi, appannaggio delle multinazionali o di grandi clienti che possono permettersi di ingaggiare consulenti o studi professionali costosissimi. Non è sempre così. Theodoros Koutroubas ricorda il caso delle lobby dei gay e delle lesbiche che hanno condotto una battaglia per non far considerare, dal punto di vista legislativo, l’omosessualità una malattia o un crimine. Un gruppo di interesse che certamente poteva contare su risorse nettamente inferiori rispetto a quelle dei conservatori e della Chiesa.

Quindi, cara Vestager, apri quella porta, almeno ai lobbisti. Per i cani lasciamo a te la decisione.

 

Vietato l’ingresso ai cani e ai lobbisti

“Fin dalla primissima settimana del mio mandato ho preso la decisione di non incontrare i lobbisti”: è la categorica dichiarazione della commissaria europea Margrethe Vestager. Ma davvero coloro che rappresentano gli interessi dei cittadini e delle imprese devono rimanere fuori dalla porta dei palazzi della politica? Questa scelta serve a proteggere la democrazia? O, al contrario, ne mette in discussione…

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