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Con l’accordo sottoscritto al Mise dal ministro Di Maio, azienda e sindacati per il passaggio di proprietà dell’Ilva alla Am Investco controllata da Arcelor Mittal si è aperta un’altra fase nella crescita dell’industria manifatturiera non solo in Puglia e nel Sud, ma nell’intero Paese.

Certo, ora bisogna gestire la transizione dalla amministrazione straordinaria del gruppo alla nuova gestione, cominciando ad assumere i 10.700 fra dirigenti, quadri, impiegati ed operai che secondo l’accordo devono essere reimpiegati dalla nuova proprietà nei vari siti, il più grande dei quali, il siderurgico di Taranto, scenderà da 10.826 a 8.200 addetti. Bisognerà poi avviare o accelerare – a seconda delle varie aree che ne saranno interessate – i lavori di ambientalizzazione dell’impianto ionico ove si dovranno completare le coperture dei parchi minerali entro la fine del 2019. Anche per gli altri investimenti finalizzati al contenimento delle emissioni nocive il cronoprogramma dei lavori dovrà essere scrupolosamente osservato, impegnando sperabilmente nelle attività di cantiere aziende e maestranze dell’indotto locale, purché in esclusive logiche di mercato.

Ma la notizia della sottoscrizione dell’accordo ha avuto l’effetto – com’era facilmente intuibile – di restituire un minimo di certezza alla clientela del sito che, con l’arrivo del primo produttore mondiale di acciaio nella sua gestione, rassicura i grandi compratori dei suoi prodotti, fra i quali bisognerà recuperare stabilmente fra gli altri clienti come Fca e Fincantieri.

La più grande fabbrica manifatturiera d’Italia dunque si avvia a marciare a ritmi più elevati rilanciando tutto il “sistema Taranto”, dallo scalo portuale alle attività dell’indotto di primo livello – e alle altre variamente collegate al sito – che avevano sofferto molto negli ultimi anni.

Ma anche altri grandi impianti industriali del Mezzogiorno stanno conoscendo fasi di accentuato rilancio produttivo come le grandi raffinerie della Saras a Sarroch in Sardegna e della Isab a Priolo, della Ram a Milazzo e della Sonatrach (ex Exxon Mobile) ad Augusta, tutte e tre ubicate in Sicilia: rilanci dovuti al rialzo del prezzo del petrolio. Tirano anche le produzioni aeronautiche dei siti campani e pugliesi ed anche le produzioni farmaceutiche di big player (Novartis, Merck, Sanofi, Angelini, Pfizer) e di Pmi di nicchia, come è emerso nel recente convegno del 21 settembre di Farmindustria a Brindisi, in cui lo scrivente è stato fra i relatori. Anche l’automotive, pur avendo subito una fase di rallentamento in alcuni siti di assemblaggio come quello della Fca a S.Nicola di Melfi, nel settore della componentistica mantiene complessivamente le posizioni. Il settore dell’industria agroalimentare infine conserva – con tutte le sue filiere e supply chain – elevati livelli di produzione trainati anche dalle esportazioni.

La sommaria analisi compiuta ha voluto evidenziare la tenuta del sistema manifatturiero dell’Italia meridionale cui il nuovo governo potrebbe dedicare anche – è una proposta che lanciamo – una grande conferenza nazionale da organizzarsi di concerto con le regioni del sud, da cui far scaturire analisi e proposte che siano in grado di individuare linee-guida e programmi di ulteriore rafforzamento del manifatturiero meridionale, anche riprendendo e migliorando se del caso i provvedimenti assunti a suo tempo dai governi precedenti.

L’industria nell’Italia meridionale – ma anche nel resto del Paese – ha bisogno di confronti serrati di merito tecnico e di proposte e soluzioni concrete, al di là di inutili polemiche che purtroppo non innalzano livelli produttivi e occupazione.

infocamere, mezzogiorno, industria, sud

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