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Gli investitori credono all’Italia ma il costo di tale fiducia sta aumentando. Lo dimostra l’andamento delle ultime aste di titoli pubblici bandite dal Tesoro, tutte andate a segno ma con tassi di rendimento in rialzo. Segno che la domanda di debito c’è (famiglie e investitori comprano titoli per prestare allo Stato i soldi necessari a finanziare quella parte della spesa pubblica che le tasse non riescono a coprire), ma che per farla incontrare con l’offerta serve qualcosa in più da corrispondere al momento di staccare la cedola.

In altre parole, asta dopo asta, lo Stato italiano sta promettendo tassi sempre maggiori pur di incamerare una domanda di debito sufficiente a soddisfare l’offerta, che verranno prontamente corrisposti o alla scadenza del titolo (nel caso dei Bot) o allo stacco cedole (nel caso dei Btp). Ma quanto costa tutto questo?

LE ULTIME DUE ASTE

I numeri prima di tutto. Questa mattina il Tesoro è riuscito ad allocare il quantitativo massimo di Btp a media-lunga scadenza (3, 7 e 30 anni) per un totale di 7,75 miliardi (il range era di 6,25-7,75 mld). Nel dettaglio, l’asta ha visto il collocamento di Btp a 30 anni per 1,5 miliardi di euro con rendimento del 3,55%, sui massimi da ottobre 2014. Allocati anche Btp a 7 anni per 3,75 miliardi al tasso del 2,55% (2,31% nell’asta scorsa) e titoli a 3 anni al rendimento medio dell’1,2% (dall’ 1,1% del collocamento precedente. Anche nell’asta di fine agosto Via XX Settembre aveva registrato sì una buona domanda ma dovendo alzare la posta in palio per i sottoscrittori: nel caso del Btp decennale si era registrato un incremento del rendimento di 37 punti base rispetto all’asta precendente, per arrivare al 3,25%. Era dal maggio 2014 che non si superava la soglia simbolica del 3%. Il nuovo titolo a cinque anni, invece, era stato assegnato per 3,75 miliardi al 2,44% con 63 punti base di crescita.

L’IMPATTO SULLO SPREAD

Naturalmente l’andamento dei tassi finisce sempre per influenzare lo spread, visto che si tratta del differenziale di rendimento tra Btp e Bund, vero termometro della fiducia. E infatti, questa mattina, dopo un’apertura stabile a 238, in linea con la chiusura di ieri, lo spread ha investito la rotta ed è tuttora in rialzo a 243 punti con un tasso di rendimento al 2,835%. Si tratta di un valore superiore di ben 5 punti basi in un lasso di tempo ridotto.

MICOSSI E L’EFFETTO TRIA

A questo punto, due domande. Primo, che cosa sta spingendo i tassi al rialzo? Secondo, che cifra potrebbe assumere il conto finale dei rialzi? Formiche.net ha sentito il parere di Stefano Micossi, economista e direttore generale di Assonime. “Bisogna essere cauti con i numeri, un vero costo del rialzo dei tassi si saprà solo alla fine dell’anno. Ma credo che i calcoli effettuati di recente da Cottarelli (si veda il paragrafo qui sotto) sono molto azzeccati e precisi. Le cifre ballano tutti i giorni, una somma si potrà fare verso dicembre per capire quanto lo Stato pagherà per collocare il suo debito”. Micossi ragiona anche sull’impatto delle nuove tensioni nella maggioranza, si parla di un passo indietro (smentito) di Giovanni Tria per disaccordi sulla manovra, hanno sui tassi e sulla spread. “La faccio facile. Se Tria cade lo spread va a 500, se il governo cade succede altrettanto, ma se invece fanno fare a Tria la sua manovra allora lo spread scende a 200. Detto questo penso che certamente le tensioni con il Tesoro non aiutano perché il mercato reagisce male ogni volta che percepisce una perdita di peso della componente responsabile della maggioranza. Come oggi”.

I CONTI DI COTTARELLI

Due conti su quanto costasse allo Stato il rialzo dei tassi pattuito con gli investitori al fine di garantirsi il finanziamento del debito, li aveva fatti anche l’ex commissario alla spending review e oggi direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici, Carlo Cottarelli. Il rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani verificatosi da metà giugno potrebbe costare 113 milioni quest’anno e 1,4 miliardi nel 2019, ha scritto Cottarelli. Ma il 14 giugno scorso, a dieci giorni dall’insediamento del governo gialloverde, Cottarelli aveva già stimato, partendo dalle aste di fine maggio, un costo aggiuntivo di 785 milioni nel 2018 e di 3,7 miliardi nel 2019. Complessivamente, se si prende a riferimento il periodo maggio-agosto, l’aggravio per il bilancio pubblico è di 898 milioni nel 2018 e di 5,1 miliardi nel 2019, per un totale di 6 miliardi.

LE PREVISIONI CONFINDUSTRIA

Un altro punto di vista è quello di Andrea Montanino, direttore del Centro studi di Confindustria (qui l’articolo di ieri con il suo intervento alla Sna) che a Formiche.net spiega come “saremo più chiari il 3 ottobre, quando presenteremo le nostre previsioni per l’economia e gli scenari di politica economica. Una cosa è certa: le nuove aste ci costeranno meno delle vecchie, perché il debito sottoscritto negli anni addietro e in scadenza il prossimo anno è stato collocato a tassi maggiori di questi. Dunque, rinnovare i circa 200 miliardi in scadenza nel 2019 costerà un po’ meno. Ma d’altra parte, va detto che i tassi odierni sarebbero potuti essere più bassi ancora se solo lo spread non fosse risalito. Non mi aspetto nel brevissimo Esiodo delle variazioni significative al ribasso nei rendimenti, ma molto dipenderà dal Def e dalla successiva manovra. Saranno loro a decidere il vero andamento dei tassi”.

IL REPORT DI UBS

Che cosa ci vorrebbe per riportare i tassi italiani sotto controllo? Gli analisti di Ubs, prima banca elvetica, hanno elaborato 4 scenari. Il secondo più positivo, in cui il governo procederà a una espansione “limitata” del bilancio avvicinando il deficit al 3% del Pil ma senza minare la sostenibilità del debito, dovrebbe vedere un recupero dei Btp fino a far calare i rendimenti al 2,2%  circa. Nel caso opposto, con delle manovre di bilancio “aggressive” i rendimenti dei titoli italiani si spingerebbero “ben oltre” i picchi registrati nelle scorse aste.

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