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In Turchia la preoccupazione per la situazione è palpabile e anche nelle fasce della popolazione più sostenitrici del presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, il disagio è evidente. I prezzi di molti generi alimentari sono aumentati del 30% in poche settimane. Nonostante le rassicurazioni da parte del capo dello Stato, che ha promesso un rilancio dell’economia, una stabilizzazione dei prezzi e una normalizzazione del cambio della valuta nazionale sul dollaro dopo una sofferenza che dura da mesi, ancora non si vede la fine di questa crisi che entro la fine dell’anno avvierà il Paese alla recessione dopo oltre un decennio di perfomance positive.

A confermare che i tempi d’oro, nei quali la Turchia poteva vivere di rendita, sono finiti, è arrivato anche il ministro delle Finanze, nonché genero del presidente Erdogan, Berat Albayrak, che oggi, nell’illustrare il piano economico finanziario sul medio termine, che da andrà dal 2019 al 2021, ha abbassato le stime sulla crescita turca. Cosa che, per altro, le agenzie di rating avevano già fatto da tempo. Quindi niente più 5,5%, come preventivato in precedenza, sia per il 2018 sia per il 2019, ma un decisamente più modesto 3,8% per il 2018 e 2,3 per il 2019. Percentuali deludenti per un Paese che di media cresceva almeno del 5%.

Ma le brutte notizie non sono finite. Albayrak ha previsto un aumento anche dell’inflazione. Per il 2018 i prezzi potrebbero salire fino al 20%. Una diminuzione del rincaro del costo della vita è prevista solo dal 2019, quando comunque l’inflazione rimarrà a due cifre, ossia al 15,9%. Secondo il titolare delle finanze il primo sospiro di sollievo ci sarà solo nel 2020, quando l’economia tornerà a crescere del 5% e l’inflazione scenderà al 9%. Inutile dire che la colpa è di chi ha cercato di sovvertire il potere di Erdogan, quindi prima la rivolta di Gezi Parki, nell’ormai lontano 2013 e poi il fallito golpe del 2016. Albayrak ha anche annunciato che i tagli alla spesa pubblica saranno di otto miliardi di dollari e che entro il 2021 verranno creati due milioni di posti di lavoro.

Intanto, nonostante il periodo non sia dei migliori e la Turchia abbia ancora due anni di passione davanti, il governo ha fatto sapere che i maxi progetti previsti per il Paese andranno avanti. Primo fra tutti, quello che la stampa turca definisce il ‘progetto pazzo’, ossia il Secondo Bosforo. Un maxi canale alternativo da almeno 30 miliardi di dollari, che collegherà il Mar Nero al Mar di Marmara. Il dubbio è come faranno le banche nazionali, già provate da investimenti consistenti negli ultimi anni, a finanziare anche questo ennesimo capriccio del Presidente.

Al quale, ultimamente, non ne va bene una. Persino il terzo aeroporto di Istanbul, fortemente voluto da Erdogan e che verrà inaugurato il prossimo 29 ottobre, rischia di trasformarsi da trionfo a tonfo. La settimana scorsa gli operai che stanno lavorando nel cantiere hanno iniziato a scioperare per le condizioni disumane con le quali sono trattati. La risposta delle autorità è stato l’arresto di 400 fra operai e sindacalisti.

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I tempi d'oro per la Turchia sono finiti (ma progetta il Secondo Bosforo)

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