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Ma qual è la strategia del ministro Di Maio e dove può portare? Questa la domanda che hanno in testa tutti gli osservatori interessati alla vicenda Ilva, naturalmente divisi in varie fazioni. Ebbene abbiamo provato a sondare gli ambienti più vicini al ministro delle Sviluppo Economico e ne emerge uno scenario assai articolato e meno improvvisato di quanto potrebbe apparire, che ora andiamo a raccontare.

Punto primo: Di Maio vuole segnare una discontinuità evidente con il suo predecessore Calenda, che deve essere rilevabile sotto ogni profilo e che deve riuscire a portare sulle sue posizioni soggetti sin qui molto critici, come il presidente della regione Puglia Emiliano. Punto secondo: non è vero che Di Maio punta a riaprire la gara, ma è vero che non accetta di chiudere alle condizioni di Calenda. Punto terzo: il ministro vuole fare presto e, soprattutto, capisce benissimo che non c’è alternativa alla cordata Arcelor Mittal, poiché tutte le altre opzioni rischiano di portare prima alla chiusura degli impianti che ad una diversa soluzione.

A via Veneto (sede del ministero dello Sviluppo Economico) sono peraltro arrivate notizie preoccupanti su vari fronti, che danno il senso dell’emergenza.

C’è un tema di sostenibilità finanziaria dell’Ilva (oggi l’impianto perde un milione di euro al giorno), c’è un tema di gestione delle linee produttive (la manutenzione è ai minimi termini per ragioni di costo, ma questo rischia di diventare un grosso problema sul fronte della sicurezza) e infine c’è un tema di rapporto con il mercato mondiale dell’acciaio, dove occorre dispensare certezze agli operatori se si vogliono firmare contratti di fornitura (è di queste ore la notizia di un probabile accordo tra Fincantieri e ThyssenKrupp).

Mettendo tutto insieme il ministro ha scelto la linea che abbiamo visto in questi giorni (compreso il coinvolgimento dell’Anac) con un unico scopo: migliorare la proposta del gruppo guidato da Lakshmi Mittal sia sotto il profilo delle garanzie occupazionali che dal punto di vista degli interventi in materia ambientale.

Ecco la scommessa politica di Di Maio, “portare a casa” più investimenti di quelli ottenuti da Calenda, facendo leva sul fatto che ormai gli acquirenti si sono spinti troppo avanti per fare marcia indietro, anche perché i dazi americani sull’acciaio cinese rendono convenienti le produzioni negli altri continenti, con evidente vantaggio per gli impianti Ue. Insomma Di Maio cerca la “sua” soluzione alla vicenda, perché ad avallare quella di Calenda non ci pensa proprio.

Gli riuscirà il triplo salto mortale?

Non è scontato, perché quando ballano cifre importanti con le multinazionali non è il caso di fare i fenomeni (il mondo è grande, non comincia e non finisce a Tempa Rossa). Ma il giovane vice-premier e ministro sa che su questa partita si gioca molto, se non tutto. Anche perché il suo esordio, cioè il decreto “dignità”, ha lasciato l’amaro in bocca a molti, anche tra i suoi. Quindi su Ilva Di Maio non può fallire, non può aspettare e non può chiudere l’impianto.

Può solo ottenere di più da Arcelor Mittal, per poi cavalcare il risultato scagliandolo contro il Calenda “troppo amico dei potenti”. Sarà un’estate rovente, tipica condizione da altoforno peraltro.

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Di Maio ha una strategia per l'Ilva: eccola qui

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