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Oramai, la disputa tra Matteo Salvini, vice presidente del Consiglio, ministro dell’Interno e leader della Lega, e Tito Boeri, economista di rango e presidente dell’Inps, in scadenza tra circa nove mesi, è al “calor bianco”. Sono amico di Boeri dalla metà degli anni Ottanta e nutro forte stima per la sua competenza professionale. Non conosco Salvini. Più che prendere posizione, penso sia utile indicare alcuni criteri che possano aiutare ciascuno di noi a decidere da che parte egli od ella debba stare.

In primo luogo, norme retroattive sono il peggior nemico della democrazia, oltre che contrarie al nostro ordinamento costituzionale come più volte ricordato dalla Consulta. In caso di Governo autoritario. Danno adito al massimo arbitrio. Neanche il Fascismo fece leggi retroattive, se non quelle sulla “difesa della razza” su istigazione dell’alleato germanico. Ciò vale per la proposta di un eventuale ricalcolo dei trattamenti in essere, una tesi di Boeri che ha trovato una sponda nel vice presidente del Consiglio e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio. Pur, se personalmente, ne trarrei un vantaggio in quanto, con 44 anni di contributi di cui 30 ai livelli apicali della pubblica amministrazione, la mia pensione aumenterebbe.

In secondo luogo, come già sottolineato su Formiche.net, un sistema previdenziale “contributivo” non dovrebbe avere né minimi di età per andare in quiescenza né massimi per restare al lavoro: deve essere lasciato alla scelta degli individui; ovviamente coloro che decidono di andare in pensione relativamente giovani, avranno assegni sottili, mentre coloro in grado di restare al lavoro sino a tardi (e vogliono farlo) avranno trattamenti pingui. Le polemiche sugli aggiustamenti alla “legge Fornero” sono, in gran misura, prive di base, anche se la normativa attuale è regressiva in quanto – come documentato da uno studio recente del ministero della Salute – coloro nella fasce più basse di reddito hanno aspettativa di vita inferiore a coloro nella fasce alte.

In terzo luogo, è tautologico che un Paese a forte denatalità e marcato invecchiamento della popolazione abbia un serio problema di sostenibilità del sistema previdenziale e dello stato sociale. Tuttavia, le analisi andrebbero fatte separando nettamente la spesa previdenziale dalla spesa sociale. Attualmente è il sistema previdenziale (che è stato riformato) a generare un attivo che viene destinato al sociale (che ha urgente bisogno di razionalizzazione). È anche tautologico sostenere che per la crescita del Paese c’è bisogno di lavoratori giovani. È difficile comprendere perché si debba trattare di immigranti dall’Africa e dal Medio Oriente e non di giovani di altri Paesi “atlantici”. A Londra oggi lavorano 200.000 giovani italiani. Auspicherei la presenza di giovani britannici, tedeschi, americani e via discorrendo in un’Italia a forte crescita ad alto contenuto tecnologico e anche di forze nuove e preparate dal resto del mondo. Ciò implica programmazione e controllo dell’immigrazione.

In quarto luogo, infine, l’Inps è, in primo luogo, “la fabbrica delle pensioni”, come la definì in un libro fondamentale una ventina di anni fà, Giuliano Cazzola. Il suo compito primario è gestire bene il patrimonio previdenziale degli italiani e, se ha tempo e risorse, formulare suggerimenti (non proposte che spettano al Governo) di politica previdenziale. Non sembra che il funzionamento dell’Inps sia impeccabile. Una dozzina di anni fa mia moglie ha dovuto attendere due anni e mezzo, ed una telefonata del Capo di Gabinetto dell’allora presidente dell’Istituto, perché le venisse liquidata la pensione. Di recente, una mia collega ha atteso un anno e mezzo perché le venisse liquidata la pensione di reversibilità. In questi ultimi giorni, poi, circa 15 milioni di pensionati Inps hanno ricevuto una strana lettera non datata, inviata per posta ordinaria e senza timbro postale. La lettera è firmata dal nuovo direttore generale dell’Istituto, Gabriella Di Michele e riguarda l’”invio Certificazione Unica rettificata”. In allegato alla lettera viene inviato un nuovo CUD datato 31 marzo 2018, firmato dal presidente dell’Inps e recante in calce ad ogni pagina “il presente modello annulla e sostituisce il precedente”. Ciò ha creato lo scompiglio e l’ansia tra milioni di italiani, specialmente tra coloro che avevano utilizzato la dichiarazione precompilata preparata dall’Agenzia delle entrate o che comunque avevano già adempiuto alla dichiarazione del loro reddito.

Tito Boeri articolo 18

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