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La profonda crisi politica creatasi domenica è difficilmente sopravvalutabile. In modo traumatico la presidenza della Repubblica si è trovata al centro di una contrapposizione frontale con il corpo elettorale, aprendo così un conflitto molto grande all’interno delle nostre istituzioni democratiche, destinato a lasciare cicatrici profonde.

Non si tratta, in realtà, di una novità in senso assoluto. Già durante il ’68 era avvenuta una simile emorragia, la quale tuttavia era minoritaria rispetto al sistema rappresentativo dei partiti. Ciò nonostante, Aldo Moro comprese benissimo che qualcosa di inedito stesse avvenendo nella società. Successivamente, invece, la questione è diventata più simile all’odierna, nel ’94, con Silvio Berlusconi, il quale raccolse un consenso maggioritario stupefacente che determinò uno scontro frontale con il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

La linea di neutralizzazione del Cav avvenne dal Quirinale però attraverso il Parlamento, mediante cioè il famoso “ribaltone” della Lega che cambiò maggioranza, dando vita al Governo guidato da Lamberto Dini. Gianni Baget Bozzo parlò in seguito di una piena rivelazione politica del Dossettismo, ossia di una concezione della Repubblica e dello Stato sostanzialmente in contrasto con la democrazia reale, volontà popolare in quella fase incarnata da Forza Italia.

Oggi, malgrado questi precedenti storici, la situazione è giunta ad un punto ancora più estremo. M5S e Lega, infatti, si sono presentati al Quirinale, dopo una lunga trattativa, con l’accordo fatto, il contratto in mano e una lista di ministri pronta. Tra le prerogative del capo dello Stato vi è quella di essere l’autorità che dà vita ad un governo nominando presidente del Consiglio e, insieme a lui, lista dei dicasteri.

Può il presidente della Repubblica mettere veti, modificare le proposte che giungono dal popolo al Parlamento, attraverso i partiti? Questa è la domanda decisiva.

Se si legge laicamente la carta costituzionale si denota subito che (Parte II, Titolo II) la presidenza della Repubblica è un organismo rappresentativo dell’unità nazionale e istituzione unitaria di coordinamento dei poteri. Egli presiede il Csm, ma non ha il potere giudiziario; firma le leggi, ma non fa le leggi; e così via. In rapporto al Governo (Parte II, Titolo III) la presidenza della Repubblica conferisce l’incarico di formare il Governo e lo nomina. Questo non significa, tuttavia, e la Costituzione è chiarissima in tal senso, che egli possa attribuire a se stesso alcun tipo di potere politico. Nella logica del sistema parlamentare, l’indirizzo politico non è del capo dello Stato, supremo garante della Costituzione, ma è del Consiglio dei Ministri e del Parlamento.

È stato, dunque illegittimo il veto di Sergio Mattarella su Paolo Savona? Non è facile rispondere ed è impossibile farlo in modo secco. Dipende tutto dalla discrezionalità del Colle. Tuttavia il problema politico generale non soltanto resta sul tappeto, ma sarà adesso al centro della futura campagna elettorale.

Bisogna sapere che il nostro Stato non potrà mai diventare una piena e radicale democrazia diretta, perché la Repubblica costituzionale è concepita proprio per neutralizzare e controllare la volontà popolare, canalizzandola in istituzioni fortemente rappresentative e frammentate, così contemplate dal nostro ordinamento. Ciò nondimeno l’intelligenza vuole che gli organi istituzionali non accentuino la distanza tra Stato e società, ossia tra Repubblica e democrazia, divenendo sostituti diffidenti del popolo e dei suoi interessi immediati.

Non c’è dubbio che in democrazia è il popolo ad essere sovrano. Non c’è dubbio, inoltre, che tale sovranità si esprime attraverso i modi stabiliti dalle leggi della Repubblica. Attenzione però a non rendere le istituzioni antidemocratiche, creando un range politico tra idee buone e idee cattive.

Hans Kelsen spiega nella “Teoria generale del diritto e dello Stato” che la democrazia implica un’identità tra volontà popolare e volontà dello Stato. Laddove questa identità si spezza, lo Stato democratico diventa una autocrazia repubblicana e non più una democrazia vera. Porre limiti a posteriori alla volontà popolare è giusto, porre limiti apriori sulla base di orientamenti politici, legittimati ex ante dallo Stato, è antidemocratico, illiberale e inaccettabile.

Il giudizio sull’inopportunità di un certo ministro, espressione di una maggioranza politica, è certamente uno stop ad un’indicazione proveniente dal popolo, relativa ad un indirizzo politico chiaro ma ritenuto dannoso per la nazione da parte del Quirinale.

Si tratta di un atto forte e, si permetta di dirlo con grande rispetto, anche discutibile sul piano democratico, sebbene probabilmente corretto sul piano costituzionale. Fatto sta che il nascente governo Cottarelli dovrà gestire con grande prudenza e obiettività una sospensione democratica temporanea e una campagna elettorale che sarà all’insegna di una polarizzazione assoluta: Italia o Europa, Democrazia o Repubblica, Volontà popolare o Volontà Costituzionale.

E su queste questioni, purtroppo, tertium non datur. Matteo Salvini dovrà presto scegliere, prima di tutto il resto, se tornare nel Centrodestra, rivendicando all’interno della tradizionale coalizione moderata il proprio ruolo di guida e le proprie idee; oppure optare per una battaglia con i Grillini, nella quale il gioco è al tutto per tutto e l’obiettivo finale far vincere la volontà popolare contro tutti gli ostacoli interni ed esterni che ne intralciano l’autorealizzazione democratica.

In ogni caso è bene non esagerare mai con la democrazia e non esagerare mai con la diffidenza verso di essa. Perché il rischio è che si perda all’unisono l’ordine e la pace sociale, condizioni indispensabili per avere una democrazia repubblicana in un sistema costituzionale dove la volontà politica del popolo s’identifica con la volontà politica dello Stato.

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